Per un due agosto indipendente, senza polemiche né pacificazione


«Fischiare, fischiare: un modo, il loro, per dire che esistono. Un’infantile ricerca di visibilità» (Paolo Bolognesi sul “Corriere”).

In un angolo della piazza vicino al palco:
– Comunque siamo ancora in democrazia, no? Lei applaude, e io fischio.
– Qui non c’è nessuna democrazia, cretino!

In un altro angolo:
– Guarda che questa manifestazione è nata per ricordare i morti.
– No, questa manifestazione è nata perché la gente era incazzata!

Ogni 2 agosto le parole e gli insulti che volano tra chi fischia e chi cerca di impedirlo testimoniano che in quella piazza si esprimono due verità differenti: quella perbenista, e talora ipocrita, delle istituzioni che parlano lungamente dal palco; e un’altra che va invece nascosta, delegittimata, impedita, fino al sequestro dei volantini e alla denuncia per “vilipendio” avvenuti nel 2007, fino alla disonestà odierna dell’editoriale preventivo.

1. Da una parte, vi sono i discorsi ufficiali, tutti fondati su una netta opposizione tra democrazia e terrorismo. La democrazia sarebbe buona, accogliente, benefica, irreprensibile. Le compromissioni dello “stato democratico” nella strage del 2 agosto vengono così o taciute o ricordate come casi episodici di “deviazioni”. Ogni anno, da 28 anni, i familiari delle vittime bussano inutilmente alla porta dei governi più diversi per chiedere la verità sui mandanti della strage e l’abolizione del segreto di stato. Ogni anno il ministro di turno promette, sorride, stringe mani. Tutti sanno già che non cambierà nulla. Da alcuni anni, poi, il Terrorista è ritratto sempre più come un “mostro”, come un agghiacciante scherzo di natura, come qualcosa di totalmente estraneo alle strategie di potere dello Stato, rimuovendo gradatamente la verità storica sullo stragismo neofascista.

È il revisionismo alla Cofferati, meno smaccato e invadente delle fandonie di Cossiga e di AN, ma pur sempre disponibile a qualche concessione: ad esempio il primo maggio 2007 il sindaco Cofferati, a nome della città di Bologna, ha dato dal palco il benvenuto al sindacato di estrema destra UGL parlando davanti a uno striscione di solidarietà allo stragista nero Luigi Ciavardini: “Strage di Bologna: Ciavardini innocente”. Non ha fatto una piega. Del resto, già nel 2004 il primo discorso di Cofferati per il 2 agosto aveva ricevuto il plauso di Forza Italia e AN…

2. Ma vi è un’altra verità che oggi si cerca di soffocare in ogni modo, proprio mentre ci si appella alla “memoria”. Noi la portiamo in piazza ogni anno, come possiamo, anche con i fischi. Dalla strage di piazza Fontana del 1969 a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato dolorosamente una lunga serie di azioni terroristiche guidate da interi scomparti dello Stato e da neofascisti da questi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Fin dal principio lo scopo era quello di promuovere con la violenza un “ritorno all’ordine”. Si voleva costringere la volontà diffusa di una diversa e più giusta organizzazione sociale di nuovo entro i ranghi oppressivi del lavoro salariato e dell’autoritarismo scolastico. Senza più dibattiti, contestazioni, lotte, antagonismi.

A lungo preparata, la strage di Bologna fu uno di questi capitoli e la sua verità storica non può essere staccata dalla storia dello stragismo neofascista e dei suoi appoggi istituzionali di ieri e di oggi. Quando nel 1994 fu emessa la condanna della Corte di Appello contro Mambro e Fioravanti come esecutori materiali della strage, sul “Corriere della Sera” apparve un’intervista ai due terroristi, dal titolo “Loro al governo, noi all’ergastolo”. Leggiamone solo l’inizio:

“Ma guarda Teodoro… E Gianfranco… E Francesco…”. Ogni volta che comincia un telegiornale, in un paio di celle di Rebibbia due bocche si spalancano con divertito stupore. Perché a loro, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, marito e moglie, condannati a diversi ergastoli per diversi omicidi politici commessi durante la loro forsennata avventura contro tutto e tutti tra le file dei Nuclei armati rivoluzionari, la novità fa ancora un certo effetto. Quelli che adesso sono lì, al governo, a trattare di presidenze bicamerali e consigli d’amministrazione, sono proprio i ragazzi con cui sono cresciuti, tra volantini, sprangate, manifestazioni, lutti, passioni…”

Oggi come ieri, Mambro e Fioravanti combattono la loro battaglia e sempre con buone coperture istituzionali. Dopo aver promosso il neofascismo con le bombe, ora lo fanno con le parole, le interviste, le menzogne, mentre i giovani fascisti tornano a uccidere, picchiare e tirare molotov contro centri sociali e campi nomadi.

Ma dimenticare la specificità delle stragi di stato pare diventato ormai un obbligo istituzionale a cui nessuno si sottrae. Dopo il revisionismo su fascismo e Resistenza, il revisionismo sul neofascismo stragista è un passo decisivo sulla via di un nuovo regime totalitario.

Ogni anno, quello che portiamo in piazza non è solo il lutto per le stragi di stato, ma anche il dolore perché quei morti sono serviti a costruire un mondo più ingiusto, ipocrita e violento. Per questo finora abbiamo sempre fischiato i rappresentati delle istituzioni: e lo abbiamo appreso proprio in quella piazza, nel corso degli anni, da gente comune che sapeva che lo stato non processa se stesso.

Tuttavia, poiché vi sono due verità è giusto che vi siano anche due commemorazioni. Così, per il prossimo 2 agosto, avanziamo la proposta di un’iniziativa pomeridiana alternativa, autorganizzata, semplice, lontana dagli insulti e dalle polemiche.

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Saccà, Hitler e la TV revisionista


Lezioni di revisionismo
da Roma.Indymedia

Colloquio tra Agostino Saccà, direttore di RaiFiction, e Rubens Esposito, direttore affari legali della Rai, intercettazione telefonica del 23 agosto 2007 (“la Repubblica”, 30 luglio 2008):

«Sai che Hitler ha alleggerito le tasse anche durante la guerra? È vero che poi faceva il saccheggio contro gli ebrei… E ieri pensavo: guarda che coglione Prodi, ma se Hitler è stato attento a non aumentare le tasse…».

«Agostì, c’è una differenza tra l’uno e l’altro».

«Pazzo, ma genio del consenso».

Quanta parte ha la televisione nel processo di fascistizzazione della società italiana? Mussolini aveva la radio, oggi ci sono le fiction della Rai. Eccone un esempio, prodotto proprio dal geniale Agostino Saccà: una apologia del fascismo insinuante, strappalacrime, faziosa, menzognera, seguita però da 17 milioni di spettatori (“Il cuore nel pozzo”: un caso di revisionismo mediatico).

Certo, non sorprende che da un simile “direttore”, così sensibile ai drammi della storia, siano derivate operazioni ideologiche ignobili e revisioniste. Ne vedremo presto di peggiori. È una previsione pessimista?

Orwell scriveva nel 1937: “Prima di dichiarare che un mondo totalitario è un incubo che non potrà mai avverarsi, ricordate che nel 1925 il mondo in cui viviamo oggi sarebbe sembrato un incubo, che non poteva assolutamente avverarsi”.

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2 AGOSTO: ORA E SEMPRE RESISTENZA


2 AGOSTO: STRAGE DI STATO

Chi guarda anche di sfuggita una qualsiasi foto della strage di Bologna vede scavare tra le macerie non solo uomini in divisa, ma soprattutto cittadini comuni. Chi guarda invece ogni anno il palco delle commemorazioni lo vede gremito quasi esclusivamente di alti gradi militari, fasce tricolori, abiti impeccabili di politici, burocrati, sottosegretari.

Fin dall’inizio i fischi, le proteste, gli slogan contro il mondo ambiguo e ipocrita della politica costituita appartengono alla commemorazione del 2 agosto: 27 anni fa una signora, parente di una delle vittime, urlò a Pertini sul palco: “Cosa fa lì con quei delinquenti? Venga tra la gente!”.

Ora, se la strage è di stato, i rappresentanti dello stato non dovrebbero avere alcun diritto di parlare in piazza il 2 agosto. Se lo stato ha intralciato e intralcia la verità, fischiare è opportuno. Questa piazza non è né del sindaco, né del questore, né delle istituzioni, né dello stato, né tantomeno di un governo come quello odierno in cui siedono gli eredi della strategia fascista, piduista e stragista.

Questa piazza è di chi vuole ricordare, ed è vergognoso che chi lo fa rischi una denuncia per “vilipendio della repubblica”, come è successo per un volantino lo scorso anno.

Si vuole far credere che il terrorismo sia un qualcosa di esterno senza rapporti con lo stato e le sue strategie di potere. Ma il 2 agosto sta a ricordarci che questo è un oltraggio alle vittime e alla verità storica: dalla strage di piazza Fontana del 1969 a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato dolorosamente una lunga “strategia delle stragi” condotta da uomini degli apparati più coperti dello stato o da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti.

Lo scopo era quello di promuovere con la violenza un “ritorno all’ordine”, contro la volontà diffusa di una diversa e più giusta organizzazione sociale.

Sono trascorsi ormai 28 anni da quando, alle ore 10.25 del 2 agosto 1980, i neofascisti dei NAR spalleggiati dai servizi segreti misero una bomba alla stazione centrale di Bologna, causando 85 morti e 200 feriti. A tanti anni di distanza i depistaggi e l’omertà di tutti i governi hanno impedito di accertare i mandanti e di conoscere pienamente la verità.

Se la mano è fascista, il mandante è evidente: è lo stesso che oggi grida all’emergenza per approvare misure di stampo fascista, è chi detiene la violenza legale degli apparati militari e di polizia, chi sfrutta lavoratori sempre più precari, chi taglia pensioni e diritti sociali per finanziare eserciti e servizi segreti. È chi continua a nascondere la verità e a terrorizzare, in un modo o nell’altro, i propri “sudditi”.

A Treviso, al principio di luglio 2008, i neofascisti locali stavano costruendo una bomba per compiere un attentato. Di recente, in Italia si assiste a un’escalation di violenze neofasciste: aggressioni, accoltellamenti, bombe molotov, pogrom, omicidi. Sono in genere atti di violenza indiscriminata, contro i migranti, contro i nomadi, contro gay lesbiche e trans, contro giovani che hanno avuto la sventura di trovarsi lì per caso: così Renato Biagetti (26 anni, accoltellato vicino a Ostia il 27 agosto 2006) o Nicola Tommasoli (29 anni, assassinato a Verona il 1 maggio 2008). Il 2 agosto non è storia del passato.

CONTRO CHI VUOLE FAR TACERE LA PIAZZA
ORA E SEMPRE RESISTENZA

CONCENTRAMENTO IN PIAZZA NETTUNO ORE 9

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Emergenza razzismo di stato


Mentre il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa si dichiara «estremamente preoccupato» per gli atti di violenza avvenuti in Italia ai danni di campi nomadi, «senza che vi fosse una effettiva protezione da parte delle forze dell’ordine che a loro volta hanno condotto raid violenti contro gli insediamenti» di questi gruppi… (Corriere)

continuano gli episodi di razzismo contro i Rom:

dopo la cacciata di una carovana da Grosseto all’inizio di luglio, circondata da militari e agenti che hanno spiegato alla comunità che nessuno poteva fermarsi… (La Nazione)

lunedì 28 luglio è stata lanciata una molotov contro una carovana in transito che sostava nella zona industriale di Stabbia (Corriere).

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20 luglio 2008, ancora in Piazza Alimonda

Ancora in strada per non dimenticare, per gridare il nostro orrore e la nostra rabbia contro una delle pagine più nere della storia del nostro paese, anzi – come l’ha definita Amnesty International – “una delle più gravi violazioni dei diritti umani e civili dai tempi del ventennio fascista”.

Immancabile la presenza dell’incrollabile famiglia di Carlo, costantemente posta di fronte alla pena di veder rimossa e manipolata la memoria del proprio figlio, nel torbido oblio di condanne senza senso né dignità: lo stato e la società sono sempre pronti a condannare chi non accetta di piegare la testa di fronte agli abusi del potere costituito, delle ingiustizie, dei soprusi, della violenza brutale e ingiustificata.

Tutto il nostro calore, il nostro rispetto e la nostra umana ammirazione vanno allo strazio di questi genitori che ogni minuto di ogni giorno combattono per la memoria di un figlio perduto in circostanze che ricordano troppo da vicino la vicenda di Francesco Lorusso. I tempi e i nomi cambiano, la violenza di stato è la stessa.

Inestimabile il lavoro degli amici di Carlo e di don Gallo, intervenuto per ricordare a tutti i presenti i valori civili della lotta di Resistenza, a cui anch’egli prese parte in prima persona. Secondo don Gallo, la voglia di libertà e di uguaglianza sociale che animava i compagni sui monti è la stessa che ci anima e animava Carlo quel maledetto giorno, e non deve venire soffocata dalla paura, dalle minacce e dagli omicidi perpetrati da uno stato sempre più dichiaratamente fascista. Don Gallo prende il microfono, ci si aggrappa, lo impugna come fosse un’arma e alimenta il fuoco di un’esortazione ad alzare la testa, a combattere la paura e a non darsi mai per vinti, perché – egli afferma – se in questo dannato paese esiste un patrimonio comune, ebbene quello è senz’altro la totalità dei valori e degli intenti che hanno mosso le generazioni passate a liberare l’Italia e che oggi devono servire per proteggere e promuovere nuovamente la civiltà, la pace e l’uguaglianza sociale. Segue un interminabile applauso, come quello immancabile delle 17.21.

Poi risuona la voce registrata di Carlo che legge alcune lettere di condannati a morte genovesi durante la Resistenza. Era un vecchio nastro, registrato durante una manifestazione in cui Carlo aveva letto queste lettere, ma l’emozione è grande, soverchiante, come ogni anno a Piazza Alimonda. O meglio, a Piazza Carlo Giuliani, ragazzo.

In questo settimo anniversario eravamo più di 500. Quest’anno la tensione è stata smorzata dalle taglienti osservazioni in musica di Andrea Rivera e dalle allegre melodie dell’orchestra Rom che ha seguito il corteo fino a Piazza Alimonda. Sì, perché quest’anno c’è stata anche l’occasione di dire NO alle impronte prese ai BAMBINI ROM ribadendo il concetto dell’antirazzismo come forma di progresso civile.

Da ultimi, ma non ultimi nelle nostre coscienze, hanno preso la parola alcuni manifestanti del luglio 2001 che indossavano una maglietta bianca con stampato sopra il numero 25 (a ricordare quello dei condannati per devastazione e saccheggio), i quali, a causa della negata udienza da parte del sindaco di Genova Marta Vincenzi, non hanno potuto partecipare all’incontro tra comune e parti sociali di Diaz e Bolzaneto in cui si è parlato di “riconoscimento morale” che la città di Genova offre alle vittime della violenza di quei giorni. Ai presenti hanno letto la lettera inviata al sindaco della città in cui è scritto chiaramente: “Come i 25, siamo testimoni della violenza e non vittime. Dalle istituzioni vogliamo risposte politiche”.

Lasciamo la piazza colmi di amarezza per l’impunità che ovviamente legittima i servi del potere e i loro mandanti, ma con una certezza che ci anima: contro le menzogne atte ad infangare la memoria di persone innocenti, contro colpe attribuite ingiustamente, contro ogni forma di violenza fascista, contro ogni tentativo di soffocare le libertà civili, contro ogni violazione dei diritti umani, ORA E SEMPRE RESISTENZA!

Carlo rivivrà in sempre più persone.

Per chi volesse approfondire http://www.piazzacarlogiuliani.org

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2 Agosto, strage di Stato. Assemblea merc30 al Berneri

   Secondo la “Tribuna di Treviso” dell’11 luglio 2008, i neofascisti locali stavano costruendo una bomba per compiere un attentato. Di recente, in Italia si assiste a un’escalation di violenze neofasciste: aggressioni, accoltellamenti, bombe molotov, omicidi. Sono in genere atti di violenza indiscriminata, contro i migranti, contro i nomadi, contro gay e lesbiche, contro giovani che hanno avuto la sventura di trovarsi lì per caso: così Renato Biagetti (26 anni, accoltellato vicino a Ostia il 27 agosto 2006) o Nicola Tommasoli (29 anni, assassinato a Verona il 1 maggio 2008). Non è un fenomeno nuovo: la violenza neofascista attraversa la storia italiana dal dopoguerra fino ad oggi.

Sono trascorsi ormai 28 anni da quando, alle ore 10.25 del 2 agosto 1980, i neofascisti dei NAR spalleggiati dai servizi segreti misero una bomba alla stazione centrale di Bologna, causando 85 morti e 200 feriti. A tanti anni di distanza i depistaggi di stato, l’omertà di stato (sia dei governi di centrosinistra che di centrodestra) hanno impedito di accertare i mandanti e di conoscere pienamente la verità. Ogni anno l’onorevole Cossiga rispolvera la fandonia fantapolitica della “pista palestinese”. Ogni anno il sindaco Cofferati passa sotto silenzio le compromissioni dello Stato nella strage di Bologna.

Fin dall’inizio i fischi, le proteste, gli slogan contro il mondo ambiguo e ipocrita della politica appartengono alla commemorazione del 2 agosto: 27 anni fa una signora, parente di una delle vittime, urlò a Pertini sul palco: “Cosa fa lì con quei delinquenti? Venga tra la gente!”. Ora, se la strage è di Stato, lo Stato non dovrebbe avere alcun diritto di parlare in piazza il 2 agosto. Se lo Stato ha intralciato la verità, lo Stato non dovrebbe stare su quel palco.

Il 2 agosto sta a ricordarci anche questo. Dalla strage di piazza Fontana del 1969 a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato dolorosamente una lunga “strategia delle stragi” condotta da uomini degli apparati più coperti dello Stato o da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti.

Anche quest’anno intendiamo scendere in piazza per ribadire che “la strage è di stato”. Proseguendo un percorso di autorganizzazione sul territorio contro la fascistizzazione della società, l’intolleranza, la xenofobia, l’omofobia, la crescente agibilità di gruppi dichiaratamente neofascisti, per discutere come partecipare al corteo del 2 agosto,

l’Assemblea Antifascista Permanente – Bologna

si riunisce Mercoledì 30 Luglio alle ore 21
al Circolo Anarchico "Camillo Berneri"
Piazza di Porta Santo Stefano 1 – bus 13, 16, 33, 96

aap-bologna at riseup punto net

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Quel che resta del Pride 22.07.08 h21.30 a Vag61

Oggi è importante rendersi conto che i principali sistemi di oppressione e discriminazione sono tutti interrelati. Antifascismo per noi vuol dire anche lottare contro l’oppressione razzista, sessista, eterosessista, di classe. Dopo il Gay Pride, martedì 22 luglio vi sarà un momento di riflessione collettiva tra realtà e singoli che si riconoscono nei concetti di autodeterminazione e di antifascismo e che partendo dalle realtà lgbt si allarga a tutto il movimento cittadino.

Ascolta alcuni interventi su Zic.

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Martedì 22 luglio 2008 h21.30 a Vag61

Quel che resta del Pride

Assemblea cittadina

Il pride che si è tenuto a Bologna lo scorso 28 giugno ha evidenziato profonde fratture nel movimento gay, lesbico e transessuale, fratture esistenti – evidentemente – da prima, ma che sono emerse in maniera drammatica attraverso almeno due elementi: l’assenza di un’elaborazione all’interno del Comitato Pride che ha lasciato spazio a derive securitarie, perbeniste, escludenti e qualunquiste, e la rivendicazione della repressione poliziesca e l’uso della diffamazione nei confronti del Coordinamento Facciamo Breccia.

Non crediamo che questo riguardi solo il movimento lgbt, ma che più in generale sia in atto un attacco contro ogni movimento che faccia riferimento all’autodeterminazione e all’antifascismo e che rifiuti le logiche di rappresentanza. Le sentenze di Genova, a nostro parere, si situano in questo contesto.

Non ci interessa ribattere con i metodi emersi durante il pride, non ci interessa rivendicare ragioni e attribuire torti. Sappiamo che in questo momento abbiamo l’onere di dare una lettura politica ampia del pride e dei cocci che lascia, guardando in faccia l’abisso per fare, finalmente, altro.

Non ci interessa farlo in solitudine, ma attraverso un confronto con tutte quelle realtà e singol* gay, lesbiche, trans e non solo che, come noi, intendono inserire questa vicenda in un contesto generale di crisi della politica e di contemporanea diffusione di ideologie e pratiche legalitarie, securitarie, di normalizzazione.

Ci interessa inoltre confrontarci sul tema dell’antifascismo inteso come pratica di soggetti incarnati e sessuati che ritenevamo centrale prima, e a maggior ragione dopo, il 28 giugno.

Invitiamo quindi tutte le realtà e tutt* * singol* interessat* ad un’assemblea cittadina da cui ripartire per rilanciare un movimento che, a Bologna, abbia la capacità e reali chances di riproporre una cultura altra, per un altro mondo possibile, per altri pride possibili…

Facciamo Breccia Bologna
AntagonismoGay
Fuoricampo Lesbian Group
Coordinamento Trans Sylvia Rivera Bologna

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In memoria di Giuliano Bruno

"Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi".

Una vicenda triste e commovente, che mostra una delle tante facce della violenza del più forte, del potere. E mostra come siamo parte della storia, come le generazioni passate siano “nervi dei nostri nervi”.

Giuliano Bruno, venti anni, si è suicidato lo scorso luglio. Aggredito più volte dagli skinheads a Treviso, ne era rimasto traumatizzato, aveva lasciato la scuola e si era messo a girare l’Europa, a lavorare e a urlare la propria rabbia agli 8 grandi riuniti nel nord della Germania. Un anno dopo lo hanno trovato senza vita. Giuliano Bruno era figlio di emigranti costretti a fuggire dall’ Argentina della dittatura. Giuliano Bruno era il nipote di un grande libertario, Osvaldo Bayer. Tra l’altro, autore – lui “anarchico pacifista” – di “Severino Di Giovanni. L’idealista della violenza” e soprattutto dell’epopea (4 volumi) “La Patagonia rebelde”, opera che gli costò l’esilio in Germania dal 1975 al 1983. Grazie al suo talento e alla sua perseveranza la storia del movimento operaio e contadino argentino ha superato i tentativi di rimozione di tutti i poteri, in particolare di quello tremendo di Videla e dei suoi. Oggi “La Patagonia Rebelde” – le cui copie requisite dalle librerie di Buonos Aires venivano bruciate in piazza da militari del regime – è utilizzato in molte scuole della Patagonia, nel Sud dell’Argentina. Adattato anche in una bella versione cinematografica, racconta delle lotte di allevatori e contadini di una terra arida e inospitale, di agitatori sindacali che, con in testa l’esempio di Bakunin e di Kropotkin, paralizzavano il paese con la huelga.

Nel 1920-1921 furono massacrati a migliaia dalle truppe di Varela e buttati in fosse comuni. Oggi in quei luoghi alcuni segni della memoria ricordano quelle tragiche lotte per l’emancipazione. Oggi, quasi cento anni dopo, dall’altra parte del mondo i fascisti-statisti nostrani, a testa rasata e in doppiopetto, picchiatori e imprenditori, in toga o in tonaca, continuano il loro sporco lavoro, reprimendo chi dissente da questo sistema criminale.

Lo fanno in moltissimi modi, con diversi tipi di violenza. Per Giuliano Bruno, per la sua sensibilità, avevano superato il limite: gli rimaneva così l’ultima libertà, la più terribile: allontanarsi da “un’epoca vile”. Giuliano Bruno è l’ennesima vittima della violenza del potere, di fascisti, padroni, poliziotti. Siamo in una “mala notte”, forse hai ragione tu, Giuliano. Ma se non sarà il sole dell’avvenire a spazzarli via, sarà una luna gigante, o un temporale, o un vento di quelli patagonici capaci far ululare il mare e di scuotere la terra.

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Per il Guardian «la polizia italiana è fascista»

Secondo il giornale inglese “Guardian”, «la polizia italiana è fascista».

Ciò che è successo al G8 di Genova nel 2001 non si spiega altrimenti: «Non è questione di pochi fascisti ubriachi. Nessuno ha detto ‘no’. Questa è la cultura del fascismo». E ancora: «Alcuni agenti avevano canzoni fasciste come suonerie dei loro
telefonini e parlavano con entusiasmo di Mussolini e Pinochet. Più
volte, è stato ordinato ai prigionieri di gridare «Viva il duce».
Alcune volte, i prigionieri sono stati minacciati per costringerli a
cantare canzoni fasciste
».

> Leggi la traduzione integrale dell’articolo pubblicata da Carta 

Che dire? Bella scoperta! Ma oggi, dopo la sentenza su Bolzaneto, si può anche aggiungere che in Italia c’è la piena impunità per lo stato che pratica la tortura.

Nelle celle di Bolzaneto la polizia ha torturato decine e decine di persone. Manganellate ai fianchi. Colpi alla testa. Alle donne gridavano: “entro stasera vi scoperemo tutte”. Agli uomini: “sei un gay? sei un comunista?”. Altri sono stati costretti a latrare accucciati come cani o a ragliare come asini. C’è chi è stato picchiato con stracci bagnati. Chi sui genitali con un salame. C’è chi è stato accecato dallo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi ha patito lo spappolamento della milza. Un ragazzo arriva nello stanzone della caserma con una frattura al piede. Lo picchiano con il manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano “di rompergli anche l’altro piede”. Qualche testimonianza: video.

Chi era allora per le strade di Genova, lo ha visto bene che «la polizia italiana è fascista».

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Ravenna: il centrosinistra intitola via al fascista Calvetti

No alla via in memoria del fascista Calvetti a Ravenna
Red Block Ravenna (da Indymedia ER)

La decisione della Circoscrizione del mare di intitolare una strada al fascista Calvetti, votata dal PD e da Rifondazione, non solo ha dell’incredibile, ma mette in evidenza come i valori della Resistenza non appartengano in alcun modo alle forze politiche che governano questa città!

Da diversi anni è in atto un opera di revisionismo storico che volendo mettere sullo stesso piano fascisti assassini e Partigiani eroi cerca di realizzare quello che viene definito un processo di pacificazione. In realtà questo significa solo affossare la memoria storica e riscrivere la storia dell’Italia e delle masse protagoniste della Liberazione, attaccando la guerra di Liberazione e i Partigiani si vuole attaccare il diritto dei popoli alla ribellione.

La nostra città, medaglia d’oro alla Resistenza, rifiuta e combatte qualsiasi rigurgito fascista, sia esso espressione delle istituzioni sia esso proveniente da forze esplicitamente di estrema destra, così come avvenuto a Lido Adriano il 15 giugno quando si è impedito alla Fiamma Tricolore di ostacolare l’esercizio del diritto di voto agli immigrati.

Tra politiche di allarme sociale che volgono verso la militarizzazione della città, provvedimenti restrittivi delle libertà, criminalizzazione degli immigrati e dei giovani, cancelli antimmigrati ai giardini Speyer, concessione di permessi a forze fasciste per manifestare davanti i seggi elettorali degli immigrati, ronde da Marina a Punta della Fiamma Tricolore…

Crediamo che sia necessario anziché intitolare una via al fascista Calvetti recuperare e dare forza ai valori della Resistenza che oggi più che mai sono urgenti e necessari a contrastare e combattere questa deriva moderno fascista.

Proponiamo che venga intitolata una strada o una piazza, anziché ad un fascista, ad un giovane operaio che cercava di farsi una vita ma che gli è stata portata via il suo primo giorno di lavoro al porto di Ravenna l’1-9-06.

Ravenna e le istituzione dovrebbero ricordare Luca Vertullo e gli altri operai morti sul lavoro piuttosto che riesumare dalla fossa un sindaco fascista sepolto!

Red Block Ravenna
e-mail: redblockravenna at libero punto it
……………………………………………………………..
Memorandum

Proprio contro le cooperative socialiste e anarchiche, a Ravenna – secondo la testimonianza stessa del podestà fascista Celso Calvetti – il Fascismo vantò «la battaglia più difficile e la più bella vittoria».

La feroce vittoria avvenne nel luglio del 1922 e culminò con l’incendio di Palazzo Rasponi, sede della socialista “Federazione delle Cooperative”, poi commissariata e, pochi anni dopo, presieduta dallo stesso Calvetti.

Così oggi costui viene ricordato da La Destra di Ravenna: «Personaggio di grande umanità e cultura, che non amava la divisa ma amava tanto la sigaretta, fu Deputato alla Camera dal 1928 al 1938 ed anche direttore della Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna».

Autore soltanto di un opuscoletto di poche pagine su La bonifica per colmata del fiume Lamone, la “cultura” di Celso Calvetti fu anzitutto quella della violenza fascista: la cultura del bastone, dell’olio di ricino, del dare alle fiamme sedi sindacali per poi diventarne “direttore”… amava tanto le sigarette…

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