Fascismo = razzismo di stato


«L’ideologia fascista non spiega da sola l’infamia delle leggi razziali» dichiara Fini in un passaggio del suo intervento alla conferenza organizzata a Montecitorio nel 70esimo anniversario delle leggi antiebraiche e razziste. Il segretario del Pd Veltroni si dice d’accordo con il presidente della Camera: «Le parole di Fini sono una verità storica, una verità palmare su cui sono incomprensibili le polemiche».

Si direbbe che proprio questa sia la nuova linea politico-culturale della Destra, da AN a CasaPound: ripulire la memoria del fascismo – e del neofascismo – da quelle fastidiose scorie di violenza e di orrore che “accidentalmente” ha trascinato con sé. Basta affermare che le leggi razziste del 1938 sono state sì il «male assoluto», ma non vanno addebitate per intero al regime fascista… Oppure che le stragi compiute da Ordine Nuovo sono sì esecrabili, ma gli “ideali” dei neofascisti erano patriottici e progressisti… Oppure che i poliziotti della Uno Bianca erano sì dei criminali, ma non erano di destra… O che Mambro e Fioravanti sono innocenti… Da una parte si insinua l’idea che il razzismo sia un fenomeno spontaneo della società, e non un prodotto di laboratorio. Dall’altra si fabbrica pezzo per pezzo una rinnovata ideologia fascista: ripulita, revisionata, moderna, “antifascista” e patriottica.

Naturalmente l’idiozia del Centrosinistra è quella di rallegrarsi sempre e comunque di questa smilitarizzazione a parole degli eredi del fascismo. Per la Destra oggi la posta in gioco è quella di diventare una cultura egemone: vorrebbero che il fascismo non fosse più una storia di ieri.

Resta tuttavia il fatto che qualsiasi esperienza storica di fascismo ha sempre finito per produrre razzismo, discriminazione, stragi, devastazioni e cumuli di morti. Non ci sono solo le leggi antiebraiche del 1938: il fascismo teorizzo ed esercitò la violenza razzista anche contro le popolazioni dell’Africa e dei Balcani. Non ci sono solo le tante stragi neofasciste del Novecento: anche oggi ci sono omicidi, coltellate, pestaggi, intimidazioni, azioni squadriste, aggressioni razziste… Come sempre, la tecnica dei fascisti è quella di negare e minimizzare, per continuare indisturbati la loro opera di sopraffazione. Il ritornello di rito è: «Si esclude la matrice politica». A Roma l’8 dicembre un bengalese è morto in ospedale dicendo: «Sono stato aggredito da alcuni italiani». E i giornali si interrogano: sarà razzismo?

Per David Hume (1711-1776), che era un incontentabile empirista, affinché sussista una relazione di causalità sono necessarie tre condizioni: contiguità, successione costante e connessione necessaria. Empiricamente, non vi è dubbio che il fascismo sia sempre stato razzista e che fu la causa delle leggi razziste del 1938.

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10 Responses to Fascismo = razzismo di stato

  1. yxx says:

    se l’inquisizione perseguitava gli ebrei, assieme a tutti gli altri e le altre, era dovuto ad una serie di leggi scritte dal clero e riscritte dai re che con il clero erano pappa e ciccia. non erano sta? erano monarchie? ci sono pagine intere dedicate ai motivi per cui gli ebrei vennero perseguitati in italia, per esempio. toglievano loro tutte le proprietà, i denari, le eredità. era una questione economica come spesso accade. venivano privati di ogni basilare diritto. ed erano leggi scritte, si.
    come lo sono state quelle del ’38. ci sono tanti libri che parlano di inquisizione in italia. basta leggerli.
    ed è riduttivo ricondurre le stesse leggi al fascismo perchè allo steso modo gli ebrei vennero sterminati dal comunismo.
    è una cosa che riguarda i totalitarismi in generale. e lo stragismo è l’arma che li accomuna. in italia lo stragismo è stato nero ma la risposta pseudo partigiana rossa è stata miope, senza senso e solo utile a democristiani e fascisti. chi nega che questo sia avvenuto da una lettura parziale di anni terribili, strapieni di contraddizioni. contraddizioni che ancora oggi qualcuno finge di non vedere.
    sono deliri di onnipotenza, appunto. nulla più di questo.

  2. Lu says:

    Non ho statistiche sottomano, ma non credo che oggetto dell’inquisizione cattolica siano stati soprattutto gli ebrei, o comunque erano in buona compagnia: eretici, streghe, lesbiche, nomadi, valdesi, omosessuali, atei, bestemmiatori, libertini, negromanti, ciarlatani, attori. La questione delle leggi razziste del 1938 è che erano leggi dello stato: l’antisemitismo non era mai diventato legge dello stato, la strage di massa non era mai stata un provvedimento burocratico statale. Secondo Canetti, la sopravvivenza è il nocciolo di ciò che chiamiamo potere. Il potente vuole sopravvivere agli altri. Prova piacere a sopravvivere all’umanità-massa. Pianifica la strage: «Chi ha preso gusto al sopravvivere vuole accumularlo» (Canetti, Potere e sopravvivenza, pp. 13-37). Fascismo e nazismo sono stati – al massimo grado – stragisti, guerrafondai e pianificatori di morte. Allo stesso modo, il neofascismo è stato stragista.

  3. yxx says:

    oggetto dell’inquisizione erano soprattutto gli ebrei. furono sterminati per secoli dalla chiesa cattolica. nulla di nuovo, dunque. basta leggersi i libri di storia come suggerisce la rossanda. ma basta leggere gli stessi libri, quelli che non amano le mezze sfumature e la verità vera per dire che le br fecero tante cazzate e che la lotta armata è una sconfitta unita ad un delirio di onnipotenza che ancora oggi trapela dalle parole dei nostalgici.

  4. xxy says:

    La storia in faccia
    di Rossana Rossanda

    Bisogna essere riconoscenti a quei giovani storici che, come Sergio Luzzatto, scendono dalla cattedra e intervengono sui giornali per tenere ostinatamente aperte pagine del passato recente italiano trattate spesso con troppa disinvoltura. E che dovrebbero essere affrontate fuori da quella «mezza luce» cui il nostro paese è così incline
    Non sono contraria a un uso pubblico, e fin politico, della storia. Meglio se fosse privato e asettico? La storia è l’esperienza delle generazioni che ci hanno preceduto, soffriamo più di voglia di ignorarle che di farne uso. Che può essere anche abuso, ma nessuno è più manipolabile di chi pensa che in nome del presente possiamo cavarcela da quel che gli sta alle spalle.
    Non che sia sempre gradevole ricevere la storia in faccia, una comunista rischia di essere seppellita sotto valanghe di merda. Ieri starnazzava Pansa e ieri l’altro il Libro nero del comunismo, ma meglio leggerli che ignorarli, perché pescano in acque torbide fra vero e falso, fatti e proporzioni. Viva dunque gli storici che li correggono, scendendo dalla cattedra sui giornali (e attenzione al movimento inverso, Montanelli ha fatto scuola e se l’è cavata tra le riverenze universali).
    Uno di questi giovani storici è Sergio Luzzatto, dei cui interventi (specie sul «Corriere della Sera» raccolti in Sangue d’Italia dalla manifestolibri) ha già parlato in queste pagine Sandro Portelli (sul «manifesto» del 7 dicembre). Vi ritorno perché quel fitto discorso mi ha confortato, e suscitato un problema e una obiezione.

    Usi e abusi della mezza luce
    Confortante è vedere dismessa da uno storico giovane la disinvoltura con la quale molti illustri padri della Repubblica hanno sdoganato negli anni Novanta i fascisti. È parso a un certo momento che bisognasse essere grati a Berlusconi perché riportava un pezzo del paese nella maggioranza e nel governo. Chi aveva più paura del fascismo? Nessuno. Era stato un pericolo ma era finito per sempre.
    Significava ignorare che se la storia non si ripete, il fascismo non è un incidente in Europa, risponde a pulsioni profonde e ha antiche radici nella cultura – che è un errore considerare sempre d’accatto – della destra. Si aggiunga che l’Italia non ha fatto la durissima terapia della Germania, male accettata dalla prima generazione postbellica ma riproposta con forza dalla seconda. Non ci siamo sognati di costruire accanto al Vittoriale un monumento alla Shoah come Berlino accanto alla porta di Brandeburgo, abbiamo riammesso facilmente nell’«arco costituzionale» i nostalgici della fiamma tricolore su bara mentre i nostalgici della svastica sembrano fuori per un pezzo da quello tedesco.
    Così i nostri ex fascisti, differentemente dagli ex comunisti, non rinnegano il loro passato, lo selezionano. Il loro leader e presidente della Camera, Gianfranco Fini ha definito Mussolini un grande statista e ha condannato senza mezzi termini le leggi razziali del 1938. Ed è andato in Israele a visitare il memoriale della Shoah, e mi è parso con emozione. Del resto è nato troppo tardi per esserne stato coinvolto. Qualche giorno fa ha sottolineato tuttavia che non è stato il fascismo a inventare l’antisemitismo, ma la tradizione cristiana. Vero. Ha aggiunto che le leggi razziali non suscitarono reazioni di popolo né nella chiesa cattolica. Vero, ma su questo avrebbe fatto meglio a tacere: quali possibilità di reazione, che non si limitassero a nascondere qualche amico ebreo in soffitta, c’erano nel 1938 nello stato di polizia del grande statista?
    Anche il Vaticano, che ha protestato, avrebbe fatto meglio a tacere. Ha aperto le sue porte a qualche ebreo che chiedeva asilo – come dopo il 1945 a personaggi nazisti – ma Pio XII ha rifiutato di pronunciare una parola che forse avrebbe fermato il raid tedesco dell’ottobre 1943 nell’ex ghetto di Roma, e pensare che gli era stato chiesto dall’ambasciatore tedesco presso la santa sede. Nondimeno, se la chiesa ha maledetto per secoli il popolo deicida, non ne ha dedotto che gli ebrei erano sottouomini da sterminare. E il nostro fascismo li ha volonterosamente deportati verso i lager del Reich non senza ammazzarne più d’uno per strada.
    Tutta intera, la storia è un tessuto difficile. È la mezza luce, cui il nostro paese è incline e della quale Renzo de Felice è stato un attentissimo campione, che della mezza storia usa ed abusa. Ed è questo che rende loffie le proposte di riconciliazione, di Violante e non solo. La pagina non è chiusa – chiari e scuri della resistenza compresi – e vanno dunque ringraziati i Luzzatto, per altri aspetti i D’Orsi e pochi altri che la tengono ostinatamente aperta.

    Un partito-giraffa
    Il problema riguarda Togliatti. Ridotta all’osso – e lasciando da parte le psicologie della persona – sarebbe stato possibile costruire un grande partito comunista e democratico nel 1945 rompendo con l’Urss? Dico «comunista e democratico», per bizzarro che possa sembrare oggi, perché questo è stato il Pci, così è stato costruito e per questo ha agito tanto in profondità sulla scena del paese. A fare storia sul serio, non credo si possa scappare da questa domanda. Si presentò come «comunista e democratico» perché né i socialisti, né le loro poco gloriose socialdemocrazie continentali, né gli uomini di Giustizia e Libertà e poi Partito d’Azione avevano nel 1945 la forza sufficiente per imprimere uno scatto decisivo al paese, una sorta di palingenesi sociale e culturale di massa. E a quel tempo lo riconoscevano. Erano contrari ai comunisti tutti, nel senso che non ne condividevano l’impianto più o meno classista, e tanto meno la tesi della dittatura del proletariato, criticavano il modello dell’Urss, ma sapevano benissimo che la leva comunista della resistenza, con cui ebbero ad azzuffarsi, non solo non si voleva ma non era il partito bolscevico, neppure avrebbe potuto esserlo, era una curiosa formazione e per metà classista, uno strano animale – la «giraffa», ebbe a dire Togliatti. Tengo per fermo, e vorrei che l’Istituto Gramsci lo avesse esaminato più a fondo, che Togliatti abbia considerato non una disgrazia ma una occasione il fatto di trovarsi all’ovest invece che all’est e volesse non per astuzia quella Costituzione. Penso che sia stato sincero il suo discorso, sul filo del rasoio, contro la duplicità e il tentativo, tutto a zig zag, del 1956-57.
    Si sarebbe potuto fare un grande partito popolare denunciando l’Urss per schierarsi con Churchill a Fulton e con gli Stati Uniti che avevano gettato le due atomiche su Hiroshima e Nagasaki non solo né specialmente per finire il Giappone? Non credo. Allora si ricordava ancora che l’Urss aveva avuto più di 22 milioni di morti e gli Usa erano entrati in guerra quando la Wehrmacht era bloccata a Stalingrado. Penso che il Pci non sia stato meno circolante e aperto alla società dell’attuale Partito democratico, meno monarchico e più severo e pulito. Penso che il memoriale di Yalta del 1964 sia stato ben più secco e grave del tardivo «è venuto a fine il movimento propulsivo» di Berlinguer nel 1981. Penso che cadeva nel breve periodo nel quale né Bretton Woods era finito, né la crisi dell’energia aperta, né Reagan e Thatcher insediati, la confusa ma grande decolonizzazione in corso e il movimento comunista non del tutto ossificato. Per tutti gli anni ’60 il mondo oscilla prima di attestarsi sull’ultraliberismo.
    Il Pci inizia il suo declino, anche se non elettorale, allora. Quando finisce il dopoguerra, vacilla la guerra fredda e una possibilità di terzo polo è stata tentata. Non pretendo che sia un’ipotesi ferrea, ma certo meno approssimativa di quella che interpreta il Pci tutto e solo nel rapporto con l’Urss, e dopo con il crollo dell’Urss. Da quel che fu in Italia e da quel che produsse nell’idea di sé del paese non uscì un partito che avrebbe retto alle trasformazioni degli anni ’70 e ’80, per quel che era e anche per quel che non riuscì ad essere, ma diverso da quella storpiatura della quale tanti ex comunisti si vergognano, poveracci e un po’ cialtroni.

    Sfoggio di buone coscienze
    L’obiezione riguarda il terrorismo. Intanto non li chiamerei «terroristi» – sovversivi, gruppi armati, omicidi. Non presero a modello Robespierre e il Terrore, che fu un metodo di governo. E neanche i narodniki, che gettavano bombe nel mucchio per terrorizzare; questo i brigatisti non fecero mai, a differenza dei fascisti e le loro stragi. Se qualcuno delle Brigate Rosse ebbe in mente la resistenza (il «gruppo reggiano dell’appartamento») non furono tutti né i più, se ci fu un modello fu quello latinoamericano. Non erano carnefici efferati, come si sentono in obbligo di definirli anche Luzzatto o de Luna nell’introdurre l’interessante La piuma e la montagna (manifestolibri 2008). Le Brigate Rosse non uccisero per uccidere, né per sfregio (eccezion fatta per Roberto Peci, e poi ci furono crudeltà in carcere fra alcuni di loro o della stessa parte, nella disperazione e disfatta). Il loro fu un tentativo sanguinoso di insurrezione sbagliato, prima che dal punto di vista morale, da quello politico.
    Per dirla tutta, mi è difficile applicare un giudizio «morale» in un universo e in un tempo nel quale il monopolio statale della violenza è stato esercitato con tanta ottusa brutalità. E con tale sfoggio di buone coscienze. In una temperie culturale per cui sarebbe violenza colpire direttamente e fisicamente qualcuno, mentre non lo sarebbe far crepare di fame e di sete decine di milioni di persone, stroncare anonimamente la vita di milioni di altre – come sono ladri due terzi di coloro che riempiono le galere e non chi ha sottratto le smisurate somme nella speculazione di questi mesi. Non giustifico né l’uccidere né il rubare, quale che ne sia il movente, intendo mantenere un criterio per cui sia possibile esaminare gli anni ’70 senza prima farsi frugare nell’anima, come all’aeroporto nella giacca, per garantire che non sei una incline alle armi. Non mi pare meno grave che le Brigate Rosse siano partite dall’idea che uno stato moderno possa essere colpito colpendo un suo esponente, come se fosse un ex impero e non tessuto fittissimo di rapporti e interessi che si tengono. È questo che ha reso senza senso quelle morti, date e ricevute. Quindi crudeli, una colpa. Ma non sordida, politica. E non per questo meno gravida di conseguenza.
    Non però quelle che si dicono. Se Moro non fosse stato sequestrato e ucciso, non avrebbe fatto il governo con il Pci, e Berlinguer sarebbe andato incontro allo stesso scacco. Molto sarebbe cambiato, ma non la forma di stato e di governo. Le istituzioni non furono mai in pericolo per causa dei 120 regolari che le Br ebbero al loro punto massimo. La degenerazione covava ed è avvenuta su altro. Anche questo sarebbe da studiare e discutere. Dovremmo permetterci di farlo.

  5. Giorgio says:

    A me pare che il “conflitto con opinioni differenti” non si possa chiamare “stigmatizzare” o addirittura “linciare”, ma si dovrebbe definire critica, dibattito, libertà di critica. Dire che qualcun* “cerca di linciare” qualcun’altr* solo perché ha espresso una propria personale opinione (sia pure in modo sgarbato), vuol dire cercare surrettiziamente di criminalizzare questa opinione.

    Comunque, non mi risulta che l’AAP compia una “caccia alle streghe”, né che abbia mai condotto “azioni mirate ai singoli individui”, o fatto “processo ai singoli”, o aperto “spiragli inquisitori”. Sono affermazioni ingenerose e infondate. L’AAP è un’assemblea pubblica aperta a tutt* coloro che siano, in qualche modo, antifascist*. Questo blog fa, come può, controinformazione e polemica culturale.

    Se volete spedire considerazioni, notizie, articoli da pubblicare sul blog, usate la mail.

  6. fikasicula says:

    si giudica “da fuori” quando accade che le questioni “locali” diventano dirimenti nei confronti (reali o virtuali) nazionali. quando segnano un metodo al di là del quale tutto apparrebbe non legittimabile e praticabile.

    quando si comincia con la caccia alle streghe, il processo ai singoli sulla base del fatto che sono più o meno aderenti ad una certa visione delle cose allora io comincio a preoccuparmene.

    processare qualcun@ per vincolare la libertà di critica di cento persone è una cosa che ogni tanto avviene, no?

    c’entra per niente con quello che dici tu. a meno che tu non voglia usare una frase oramai riutilizzata per milioni di altri significati solo per quello che l’ha originata. 🙂

    le mobilitazioni antifasciste sono sempre una ottima cosa. i processi agli individui – e alle persone che non amano i processi agli individui – sono uno spreco di energie e aprono spiragli inquisitori che non aiutano granchè.

    voglio avere la libertà di ragionare di antifascismo a modo mio senza che qualcuno possa arrogarsi il diritto di dirmi che non ho più lo spazio e il modo di ragionare e confrontarmi liberamente. si può o devo aspettarmi che qualcun@ mi dia per forza della “confusa”?

    dopodichè se ad un cenno di confronto si risponde che chi sta fuori mura si deve fare i cavoli propri che vi devo di’?

    spero di non ricevere più mail o notizie – che mi imporrebbero di prendere certe posizioni o di maturare una certa idea su alcune questioni – da nessun@ delle vostre parti.

    ps: ovviamente da parte mia nessuna “lezione”. cerco spazi di libertà praticabili e non tento di vincolarne altre…

  7. k@lm@ says:

    Fika sicula sbaglia non tanto perché è autoritaria, ma perché giudica da fuori una situazione che non conosce.

    Se sapesse di cosa parla non si permetterebbe di dare lezioni contro logica del “colpire uno per educarne cento”, cioè contro una logica delle BR che non è quella di nessuno dei collettivi, associazioni, centri sociali ecc. che si sono mobilitati (bene e con successo) contro i fascisti a Bologna.

  8. fikasicula says:

    ovviamente non mi riferivo a veltroni ma proprio all’atteggiamento (autoritario?) che porta te a stigmatizzare una compagna come me come una non sufficientemente antifascista o “confusa”.

    l’antifascismo d’hoc non è esclusiva di chi dice di avere le “idee chiare” come te.

    in quanto agli stereotipi sessisti, ti sbagli proprio. 🙂
    il bianco e nero di cui parlo si riferisce alla contrapposizione binaria (che non guarda alle complessità) contro la quale i nuovi femminismi si sono schierati. se ti serve puoi dare un’occhiata alle teorie del femminismo post coloniale o quello afro americano. è una cosa curiosa ma proprio questi femminismi attribuiscono invece un valore maschilista a chi realizza ragionamenti sulla base della suddivisione del mondo in bianco e nero.

    ah, un’altra cosa. non mi sono mai occupata di top manager e ministre o cape dell’esercito. questo semmai ci fossero dubbi…

    per il resto rimane ciò che ho detto. la semplificazione è appiattimento in una opinione omologata. e se leggi bene senza pregiudizi e senza quella foga che ti spinge a cercare qualcuno da linciare forse troverai qualcosa di interessante con il quale confrontarti.

    ti lascio al tuo conflitto contro le opinioni differenti (?) dalle tue. e se non ti piace, pazienza. aggiungi pure il mio nome nella tua personale lista nera. 🙂
    immagino che per la tua capacità selettiva sarò in ottima compagnia… 😛

  9. betta says:

    Certo te la via di mezzo non sai proprio cos’è : “sparare” “traditori” “esercito”

    Ma te leggi prima di scrivere?

    A parte che Veltroni non può essere un traditore perché lui non ha mai deviato dall’idiozia, è un fedelissimo.

    Invece tu sei anche una (?) che usa stereotipi sessisti perché questa storia del bianco e del nero la conosco, ho un sacco di ritagli come questo :

    “Il gentil sesso non divide il mondo in bianco e nero e sa raggiungere compromessi accettabili”.

    Che cos’è?
    Il Sole24ore in un articolo sulle top manager, ministre, cape dell’esercito ecc.

    Antiautoritaria o parecchio parecchio confusa?

  10. fikasicula says:

    credo che questo ragionamento però porti ad una conclusione che non è la via di mezzo necessaria ad affrontare il fascismo.

    come per la violenza contro le donne. il punto è: ce la prendiamo con la cultura patriarcale che stimola, istiga, giustifica la violenza o con quelli che quella violenza la praticano? la responsabilità è collettiva o individuale?

    secondo me l’una non esclude l’altra e al di là delle minchiate che dice fini il punto è – ma questo di sicuro lo sapete anche voi – che non si può organizzare l’antifascismo sulla base di azioni mirate ai singoli individui o a schieramenti precisi. colpire uno per educarne cento è una logica che non ci appartiene.
    l’antifascismo a mio avviso dovrebbe essere una azione lungimirante, a lunga scadenza, che agisce per costruire una cultura differente a tutti i livelli. l’una (cosa) non esclude l’altra ma non c’e’ un antifascismo giusto e uno sbagliato. semmai c’e’ un antifascismo vero e un altro ipocrita che omette una lettura veritiera del presente. le pratiche poi sono tutte plausibili e forse sarebbe il caso di ragionarne senza ricercare nelle lotte una dimensione identitaria.

    il fascismo esiste e non sta solo in an. il fatto che lo dica fini per annacquare le proprie responsabilità morali e politiche non vuol dire certo che non sia vero.

    infatti il fascismo esiste a casapound, nel pd, in zone che scivolano spesso in derive autoritarie della sinistra, in an, nella chiesa, in an, etc etc…

    non c’e’ il nero e il bianco. la semplificazione costa il sacrificio di una lettura complessa e quello della differenza che è ricchezza nell’affrontare queste questioni.

    c’e’ un grigio pericoloso e insidioso. sparare ai puntini più neri non lo fara’ sparire e cercare a tutti i costi traditori nel proprio esercito non aiuterà a sviluppare una cultura antiautoritaria.

    almeno così io la penso.

    un saluto antifascista

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