Le nuove camicie brune


Ripubblichiamo da “Umanità Nova” n. 40 del 15 novembre 2009 una recensione al libro di Saverio Ferrari, Le nuove camicie brune. Il neofascismo oggi in Italia, BFS Edizioni, Pisa 2009 (euro 7). Un brano del libro sull’origine nazista della croce celtica si può leggere su Indymedia Lombardia.

Le sapeva fare anche precise: in seconda media inferiore, avevo un compagno di classe che si dilettava a disegnare svastiche. Non dimostrava alcuna attitudine alla sopraffazione e alla violenza, anzi; ma poiché quel simbolo era generalmente esecrato, per lui doveva rappresentare un dispetto contro tutte le obbedienze che ci venivano imposte in famiglia, a scuola o al giardino pubblico. Un gesto di rivalsa infantile destinato a lasciare il posto ad altre consapevolezze tanto che, diversi anni dopo, lo rincontrai ad una manifestazione antifascista.

Quel ricordo lontano si fa sfumato, lasciando il posto ad un altro assai recente. Era la notte, tragica, tra il 30 aprile e il 1° maggio 2008, quando Nicola Tommasoli veniva atrocemente aggredito nel centro storico di Verona. I responsabili del suo assassinio sono noti: giovani fascisti tanto perbene, tra cui un candidato nelle liste elettorali di Forza Nuova e un attivista del Blocco Studentesco. Due di loro furono “favoriti” nella fuga alla volta di Londra da tre esponenti locali di Forza Nuova, anch’essi candidati alle ultime amministrative per il partitino tricolorato di Fiore e dell’avvocato veronese Roberto Bussinello prodigatosi nella difesa degli accusati.

Eppure, in quelle settimane, da più parti si era cercato, con pervicacia, di “depoliticizzare” l’omicidio compiuto da estremisti di destra in una logica di punizione e annientamento del soggetto “diverso”, pienamente iscrivibile nella “visione del mondo” nazifascista. Infatti, come è stato osservato a riguardo, “non si tratta di un’opinione filosofica, né di una scelta politica, ma della necessità stessa della creazione, del sangue creatore” (P. Lacoue-Labarthe e J. Nancy).

Eppure, in tanti provarono a sostenere, contro ogni evidenza, che non era un assassinio politico e non vi era alcuna ideologia come movente. E che, quindi, non aveva alcun senso parlare di antifascismo. Ci provarono a minimizzare, ovviamente, i dirigenti della Digos e il sindaco leghista Tosi (poi condannato per istigazione all’odio razziale), ma anche l’acuto sindaco-filosofo di Venezia Cacciari e il leader dei disobbedienti del nord-est Casarini, ambedue da tempo erranti nei mari post-ideologici.

Così, anche su tanta stampa, l’uccisione di Nicola venne derubricata a sintomo di un imprecisato disagio giovanile; nonostante che i responsabili fossero tutt’altro che degli emarginati, né privi di opinioni politiche. Persino la loro relativa giovane età, addotta spesso come scusante, risultava analoga a quella dei militanti dei Nar o di Terza Posizione negli anni Ottanta, e persino maggiore della media dei primi squadristi degli anni Venti.

Per questi motivi, come avverte Saverio Ferrari, autore del pamphlet “Le nuove camicie nere” (BFS edizioni, Pisa 2009), è del tutto necessario continuare a “lanciare un grido d’allarme” riguardo gli sviluppi, sempre più violenti e sempre meno contrastati, della destra estrema. A partire da un’analisi critica della fascinazione simbolica e della penetrazione dei miti che l’apparente radicalismo di destra esercita in aree giovanili, minoritarie ma non irrilevanti, attratte dalla vernice controculturale e antisistemica con cui viene ammantato l’armamentario politico che fu dei regimi di Hitler e Mussolini.

L’inadeguatezza della resistenza all’aggressivo dilagare del neo-fascismo riguarda diversi piani. Si sconta, in primo luogo, una perdita di memoria collettiva e capacità di riconoscere, sotto i mascheramenti occasionali, l’essenza di quell’ideologia autoritaria che produsse guerre, dittature, genocidi, orrori concentrazionari e mortale sfruttamento, nel nome di un Nuovo Ordine e della presunta superiorità di una razza inesistente come tutte le razze. “Un ordine – come recita un verso di Bertolt Brecht – che fa piazza pulita di ogni resistenza della vita”. Così come l’identità della sinistra – e non soltanto riformista – ha finito per perdere appeal nella misura in cui ha rinunciato a parlare di rivoluzione, ossia – riprendendo le parole di J.Beck – “dell’unica cosa valida da discutere nella nostra epoca”, in un mondo messo a repentaglio da un potere economico iniquo quanto irriformabile.

Così da una prevalenza di simboli, segni e linguaggi che implicavano la sovversione sociale, si è passati ad un dominio simbolico rovesciato, in cui persino la libertà diventa un fine che solo la sottomissione (alla violenza iniziatica, ai legami del sangue e del suolo, alla legge del più forte, al predominio maschile…) può garantire. Infatti, dentro questo universo, i simboli dell’ordine mitico, le uniformi, i gesti, le parate e i rituali di guerra non sono solo dei reperti, ma assumono il carattere del sogno fattosi realtà e a portata di mano.

Simboli tragici oggi banalmente acquistabili via internet, tramite i siti del lucroso merchandising per aspiranti soldati politici del Terzo Reich o della Rsi, oppure disponibili in versione gadget presso le stazioni di servizio lungo l’autostrada. Così, se un tempo le croci di ferro si conquistavano sul fronte russo, oggi ogni frustrato le può acquistare in edicola a pochi euro.

Dai cataloghi di tale paccottiglia emerge comunque un paradosso, ossia la prevalenza della simbologia dei fascismi stranieri (tedesco, rumeno, belga, francese, spagnolo, inglese, statunitense…) a dimostrazione che, tutto sommato, persino l’identità dei camerati di casa nostra soffre di un certo senso d’inferiorità storica. Aspetto questo peraltro riscontrabile sin dagli anni ’60, quando le principali formazioni neofasciste italiane (Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo, Giovane Europa, Europa-Civiltà…) adottarono simboli estranei alla tradizione nazionale. Unica parziale eccezione è rappresentata dal recente tentativo di recupero da parte di Casa Pound Italia di alcune tendenze politico-culturali che già il movimento fascista delle origini, quello “diciannovista”, aveva cercato di fare proprie (arditismo, futurismo, interventismo, fiumanesimo…).

Se non si coglie il funzionamento di questi meccanismi – solo parzialmente irrazionali – non si può comprendere come un giovane, nato nei disimpegnati anni 80, possa oggi non solo appassionarsi per le divise, gli stemmi e le nefaste imprese della Guardia di Ferro, della X Mas o delle SS, ma anche essere mosso dalla luce proveniente da un pianeta ormai disintegrato.

Lo sfortunato Nicola, da questo punto di vista, è come se fosse stato assassinato da morti viventi anche se con la faccia da bravi ragazzi, proprio nella città che, a pochi chilometri da Salò, nel 1943 vide già la macabra rinascita di un fascismo ormai defunto. Una città che sembra traviata da una vocazione mortifera che soffoca e stritola tutto ciò che non è ancora sepolcro.

Purtroppo Verona si sta riproducendo anche altrove, con il prosperare di gruppi funerei che, pur vantando la loro ribellione contro il sistema, sono corteggiati da politici istituzionali, giornalisti e intellettuali – non soltanto di destra – come portatori di improbabili novità culturali; mentre “la tolleranza è estesa alle politiche, alle condizioni e ai modi di comportamento che non dovrebbero esser tollerati perché impediscono, se non distruggono, le probabilità di creare un’esistenza senza paura e sofferenza” (H. Marcuse).

emmerre

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