Neofascismo e neoliberismo a Bologna


Ripubblichiamo da Infoaut questa riflessione di Yuri Daltetto. Sebbene non condividiamo tutti gli enunciati del ragionamento di Yuri e ci pare che tralasci fatti rilevanti, ciò che invece condividiamo pienamente è la necessità di uno spazio di critica sincera e di confronto solidale. Anche per questo l’AAP ha forma di assemblea aperta e pubblica di chi coltiva idee antifasciste antirazziste antisessiste e vuole esprimerle nei diversi ambiti della società.

Chiudere CasaPound? Sì, ma facendo i conti con il neoliberismo bolognese

Ho aspettato alcuni giorni prima di intervenire pensando che il dibattito si sarebbe sviluppato e anche altre penne o voci si sarebbero aggiunte alle altre, ma non è stato così quindi proverò adesso a condividere qualche riflessione, qualche nota sparsa sulla questione “chiudere CasaPound”. Parto immediatamente dalle conclusioni del mio ragionamento e lo farò in modo diretto perché a Yuri Daltetto non va di fare ermeneutica: l’assemblea costruita dai compagni del Tpo “Chiudere CasaPound” così come è stata pensata e organizzata è stata un grave errore. Voglio spiegare il senso di questa affermazione senza la volontà di fare polemica, la città ne è stufa e non è l’argomento adatto, per evitare fraintendimenti e permettere alla discussione di muoversi senza singhiozzi.

Chiarisco subito la prospettiva da cui guardo la questione: non sono un demokratiko, o almeno non lo sono nella sua versione teorica e pratica liberale, quindi chi legge (compreso te, spregevole fascista!) può risparmiarsi il mugugno sulle libertà demokratike di espressione e di esercizio della proposta politica. Non è piacevole ammetterlo ma lo spazio pubblico mediatico-politico su cui si è posizionata CasaPound Bologna viene esclusivamente dagli errori compiuti dai compagni:

1. La pubblicazione della mappatura se ben ricordate permise per la prima volta a CasaPound di esprimersi pubblicamente e in positivo, di parlare da vittima dell’odio partigiano alla città. Bene, proviamo a mettere sulla bilancia gli effetti prodotti da questo evento: da una parte una mappatura che indica luoghi di frequentazione fascista che anche una matricola arrivata da 2 mesi a Bologna conosce, una mappatura che in vero che non ci ha svelato proprio niente di nuovo sul peso politico e culturale fascista nei territori bolognesi, e dall’altro per la prima volta, la fascisteria bolognese è uscita pubblicamente non con la testa rasata e la lama, ma con il piagnisteo della povera vittima, del misero coniglio che sta per essere azzannato dal lupo (sulla strategia del vittimismo di CasaPound rimando a quelle ottime righe scritte dall’assemblea antifascista “Gli esorcisti di CasaPound”: penso che offrano uno spunto molto interessante da cui partire per riflettere su questa specificità della questione). Ora le mappature sono sicuramente degli strumenti utilissimi, ma mi chiedo perché pubblicarle su un sito? Da quello che so, le mappature vengono pubblicate come forma di precauzione e difesa, è una pratica molto usata nei paesi scandinavi dai collettivi antifa, ma ci siamo mai chiesti la ragione di questa pubblicazione? A nessuno viene in mente che pubblicare una mappatura è una pratica di difesa, di resistenza? e che giustamente lo si fa in contesti dove è necessario resistere e difendersi? e quindi la grande questione: qui a Bologna, aldilà dell’isteria dell’attenti al fascio di qualcuno, siamo sicuri che dobbiamo posizionarci in termini di difesa e resistenza?

2. L’iniziativa del Tpo “Chiudiamo CasaPound”. Senza andare a fare pompose analisi sull’antifascismo nelle istituzioni della seconda repubblica italiana, non è questa la sede, vorrei ricordare a tutti i compagni che da qualche anno grazie ad un larghissimo fronte istituzionale e non solo, in Italia si commemora il lutto nazionale nella giornata del ricordo per le Foibe. Ho fatto questo accenno per tener ben presente il contesto ma adesso preferisco passare a riflettere sull’evento più significativo che ha prodotto l’iniziativa del Tpo, ovvero l’articolo firmato Asher Colombo sulle pagine del “Corriere della Sera”: il nostro professore di sociologia si è precipitato a intervenire sulla questione posta dai compagni del Tpo alle istituzioni e con formidabile entusiasmo ci dice che: No! CasaPound non è da chiudere! Anzi la sua presenza nel territorio gratifica la città di Bologna nel suo ormai alto grado di democraticità, l’anomalia bolognese che precludeva spazi, legittimità e agibilità ai fascisti siano questi del secondo o del terzo millennio è finita. Eventualmente se dovessi seguire il ragionevolissimo piano del discorso del professor Colombo il problema resta su quei luoghi che promuovono illegalità nelle lotte sociali e che ancora si ostinano a propugnare cultura antifascista. Personalmente compagni non lo ritengo un bel risultato, perché questa volta infatti non è la voce di CasaPound a esprimersi in termini di vittima, no, questa volta è un’iniziativa antifa che ha creato un dispositivo di opinione pubblica dove la fascisteria nostrana si è presentata come vittima e non solo, come manifestazione di alto livello di democraticità del nostro territorio. Non mi piacciono i profeti, la posizione del profeta è troppo comoda, come è comodo parlare del passato usando i “se” e i “ma” quindi userò delle domande, porrò delle questioni per cercare di capire insieme meglio il problema: in una città capitale della guerra contro le minoranze politiche antagoniste, le eccedenze sociali, che è la capitale della legalità demokratika nell’era della guerra permanente, nella città in cui tutte le lotte sociali di questi anni sono passate sotto il giogo repressivo dell’associazione eversiva nel silenzio accondiscendente di gran parte del quadro politico istituzionale, nella città in cui in 4 anni si è arrivati a sgomberare ben 8 volte uno spazio sociale e per un’occupazione si è mandato alla Dozza 3 compagni, nella città dove ci si svena per un’iniziativa sulla precarietà partecipata dal sociologo Renato Curcio e si tace per la presentazione del libro dedicato a Concutelli, cosa ci dovevamo aspettare? Non so, mi viene da credere che nell’idea dei promotori dell’assemblea ci sia stata la convinzione che il quadro politico fosse stato lo stesso del 2000 quando Roberto Fiore tentò di mettere piede in città e oltre ai centri sociali ci fu un’ampia partecipazione alla manifestazione antifascista. Io credo che la politica bolognese e nazionale sia profondamente mutata e non so cosa ci si poteva aspettare se non il florilegio di “se” e di distinguo che gli invitati di parte istituzionale all’assemblea hanno dichiarato rispetto alla chiusura di una sede politica fascista, che ricordiamolo, si propone con ampie differenze dall’esperienza politica di Forza Nuova. Quindi quanti passi in avanti abbiamo fatto o quanti in dietro, e CasaPound come emerge nel quadro politico dall’apertura della campagna? Sicuramente ne esce rinforzata, con quella forza in più che neanche, e mi compiaccio, sa gestire. Ero convinto infatti che la partecipazione del sig. Massimiliano Mazzanti, noto fascista, consigliere comunale e giornalista di Bologna, avesse innalzato seppur di poco la bassissima media intellettuale e politica della fascisteria bolognese, invece devo dire, con piacere, di essermi sbagliato: un vecchio fascio navigato come lui avrebbe potuto suggerire ai suoi camerati la provocazione della provocazione, ovvero partecipare all’assemblea antifascista indetta in una sala pubblica. Bene, non l’hanno fatto, vuol dire che ancora per presentarsi come soggetto pubblico non hanno né le condizioni soggettive né oggettive, o meglio quest’ultime, se la smettessimo di costruirgliele noi, sono certo che avrebbe una grossa difficoltà a realizzarle.

3. Ma torniamo all’articolo del professor Asher Colombo, il nostro sociologo della devianza che si eccita all’idea di veder ormai al declino l’anomalia bolognese e cerchiamo di comprendere come l’assemblea “Chiudiamo CasaPound” sia stata l’occasione per declinare nel dibattito antifascista il discorso e l’autorità del governo del territorio secondo la dottrina neoliberista ovvero la pratica biopolitica alla bolognese di gestione dello spazio sociale. Il signor Colombo conclude così: «Non si tratta solo di aderire un po’ ideologicamente al vecchio adagio per il quale, anche se non si è d’accordo con quello che pensa l’avversario, è bene far di tutto perché questi possa esprimerlo liberamente. Si tratta anche di far progredire il dibattito pubblico nella nostra città, impedendole di ricadere ancora una volta in contrapposizioni sterili e di investire energie del tutto sproporzionate rispetto alla rilevanza degli eventi. È banale, a questo punto, aggiungere che naturalmente questo discorso vale finché non vengano violate le regole che governano la convivenza civile, o le leggi della nostra democrazia. Come è banale ricordare che quest’ultima dispone di tutti gli strumenti necessari per far rispettare entrambe». Subito ci informa che non è nel diritto all’espressione formulato dalla teoria liberale il luogo dove cercare la legittimità di CasaPound a Bologna (e qui la vecchia guardia diessina cittadina avrà avuto qualche mal di pancia), ma nell’idea tutta neoliberista della tolleranza e gestione delle devianze sociali e dei possibili crimini che potrebbero commettere. In questo caso ci assicura che se le regole della convivenza civile e le leggi democratiche fossero messe in discussione lo stato avrà tutto il diritto di intervenire. E qui, buona pace del signor Colombo, ci chiediamo: lo stato avrà eventualmente l’interesse e la volontà ad intervenire esercitando il suo diritto alla repressione su questi soggetti? O meglio CasaPound all’interno del discorso penale e criminologico ufficiale fa parte di quel tanto di tollerabile o di quel tanto di reprimibile? E lascio la risposta alle intelligenze critiche di ciascuno di noi. Ma aggiungo un altro spunto di analisi sulla posizione del signor Colombo: il soggetto forte della teoria e delle pratica della legalità non vede assolutamente la qualità, la specificità politica della devianza. Non se ne cura affatto di occuparsi di ciò, eventualmente ciò che gli preme è la quantità di crimini che questa devianza pratica e fino a quale numero il sistema può esserne disposto a tollerare. Quindi cari compagni molliamola con la razionalità costituzionalista e legalitaria perché se proprio dobbiamo dircela tutta, nella strategia di gestione del territorio neoliberista alla Cofferati, la bilancia dei “crimini” pende specificatamente dalla nostra parte e non verso quella di CasaPound che per giunta esce dalla legalità solo per chiedere allo stato un in-più-di-stato dirottato attraverso uno schema fascista sul sociale.

4. Ma allora cosa rispondere al signor Colombo? In prima battuta c’è da dire che l’anomalia bolognese non è affatto nel suo declino, anzi con estrema lucidità mi sembra che questa città non offra un terreno adeguato alla ricomposizione della compagine fascista e in più non abbia dei rapporti di forza favorevoli alla fascisteria di CasaPound. Se mettiamo da parte isterismi e allarmi notiamo infatti nel proporsi pubblico di questi soggetti, una totale incapacità di costruirsi uno spazio politico significativo in una fase nazionale per giunta a loro favorevolissima. Qui sul locale se non ci fossero state le ondate di conflittualità più o meno qualitativamente centrali nella battaglia contro la legalità del sindaco sceriffo probabilmente avrebbero avuto vita molto più facile, visto che il loro contributo alla legalità cofferatiana non è altro che un surplus di “law” e di “order”, ma fortunatamente i nostri territori sia pur con limiti sono informati dalla presenza e militanza antagonista. Se si vuole chiudere CasaPound sarebbe quindi il caso di non porre, nelle sue svariate sfaccettature, la questione in termine di difesa e resistenza, ma bensì sul terreno che al movimento bolognese compete, che è quello della presenza e della proposta. E non dimentichiamoci mai che a fare la vittima si può vincere una battaglia ma quasi mai la sfida complessiva. Concludo con un’ultima breve nota critica di metodo: quando si lanciano percorsi e si organizzano campagne pubbliche di una “certa durata”, che per la loro densità e specificità non riguardano solo i promotori di questa iniziativa ma tutte le realtà sociali autorganizzate sarebbe il caso di verificarne la “socializzabilità di movimento” in anticipo, così come avviene in tante altre città di Italia dove, tra aree differenti si ragiona sulla presenza e proposta antifascista nei territori. Anche perché per dirla sempre in modo poco ermeneutico c’è di mezzo la pellaccia di tutti quanti.

Yuri Daltetto

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3 Responses to Neofascismo e neoliberismo a Bologna

  1. antifa says:

    http://isole.ecn.org/…ivio2009/un05/art5676.html

    Bologna. Chiudere CasaPound, sì, ma nella testa della gente…

    Nella ricorrenza della Giornata della Memoria il centro sociale TPO ha organizzato un’affollata assemblea cittadina sul tema «Chiudere CasaPound. A Bologna e ovunque. Ora». In effetti, spesso l’apertura di nuove sedi di CasaPound è concomitante con l’aumento di aggressioni e intimidazioni sul territorio. E la loro propaganda razzista è tanto più insidiosa in quanto è fondata sul mimetismo, su demagogiche campagne «sociali», sulla capacità di imitare i linguaggi della contemporaneità. Non è certo una forzatura coniugare la memoria dello sterminio nazista e la presa di coscienza che esistono ancor oggi realtà neofasciste d’ispirazione xenofoba, omofoba e copertamente antisemita. Di qui la necessità, ribadita da più interventi, di fare inchiesta e controinformazione per smascherare e isolare quei gruppi che diffondono violenza e intolleranza.

    Nel suo intervento, Luca Alessandrini (Istituto Parri) ha osservato che l’imitazione di linguaggi e pratiche di sinistra (anticapitalismo, antimperialismo, case occupate, centri sociali) non è affatto un fenomeno nuovo: già il fascismo fu una declinazione autoritaria e razzista delle prospettive di rivoluzione sociale. Ciò che è nuovo e distingue il fascismo storico dal neofascismo è il meccanismo della «vittimizzazione»: i «fascisti del terzo millennio» di CasaPound si atteggiano costantemente a «vittime». Anzi, come è accaduto a Piazza Navona, preparano e pianificano la scena commovente della loro «vittimizzazione» mediatica.

    Ma dietro tutto questo artefatto vittimismo, vi è la rivendicazione del diritto preventivo a reagire e a «difendere» la «nazione» con la violenza. Vi è la pretesa di combattere contro quei soggetti «impuri» che «contaminano» la loro delirante idea di società chiusa (stranieri, gay, lesbiche, antifascisti, capelloni, femministe, malvestiti, antipatrioti, spiriti critici, ecc.). Proprio il nesso vittimismo-violenza, secondo Alessandrini, promuove un nazionalismo identitario fondato sull’esclusione e tipico delle destre (Lega Nord, Forza Nuova, AN, ecc.).

    Era presente il presidente del quartiere S. Stefano Andrea Forlani (PD) che ha assicurato l’apertura di un’inchiesta istituzionale sul neofascismo a Bologna. Forlani, che un anno fa era rimasto sordo alle richieste di non concedere sale pubbliche ai neofascisti, ha dichiarato: «CasaPound non potrà utilizzare sale pubbliche per la presentazione di idee e principi in contrasto con le idee e i principi su cui questa società si basa»… Sono poi intervenuti anche compagni di Antagonismogay, dell’Onda, del collettivo femminista “Guai a chi ci tocca!”, dell’Assemblea antifascista permanente, di ECN antifa.

    Certo, secondo noi la parola d’ordine «chiudere CasaPound» non va presa alla lettera. Non si tratta infatti di chiedere alle istituzioni la chiusura delle sedi neofasciste. Ogni volta che lo stato ha decretato dall’alto lo scioglimento di sigle e partiti neonazisti, essi si sono sempre ricostituiti sotto nuove forme, con in più una legittimazione anti-sistema. Si pensi solo allo scioglimento di Base Autonoma nel 1993 (secondo la legge Mancino): il risultato fu quello di farli uscire dall’angolo con una più acuta capacità di trasformismo e di iniziativa culturale. Per noi «chiudere CasaPound» vuol dire piuttosto contrastare nella testa della gente ogni spazio per stereotipi razzisti e nazionalisti. Vuol dire chiudere gli spazi di agibilità sociale e mentale per chi predica e pratica l’odio e l’intolleranza. Non a caso l’assemblea del 27 gennaio è diventata il punto di partenza di una più ampia mobilitazione cittadina: il primo appuntamento sarà sabato 7 febbraio, giornata dedicata a informare il quartiere e chi lo vive della presenza del gruppo neofascista CasaPound, secondo la modalità dell’«escrache» (il volantinaggio a zonzo per un quartiere, usato in Cile per denunciare gli ex-torturatori del regime di Pinochet). Contrastare il neofascismo si può, si deve, con l’azione sociale e la solidarietà di tutti gli oppressi!

    Redb

  2. L. says:

    Intervengo, con un po’ di ritardo, sulla questione “chiudere casa pound” e sul principio di dibattito che si è sviluppato in questa come in altre sedi (mi riferisco alle lettere di Yuri e R.).
    Faccio subito chiarezza su alcune questioni di metodo: ritengo che il confronto pubblico su questi argomenti sia di per sé un bene. Ognuno è libero di prendere le posizioni che vuole, e di avanzare le proprie critiche ma dovremmo anche chiederci perché tanti, nel movimento, tacciano, aspettando alla finestra di vedere quello che succede. Infatti, istintivamente ritengo che sia molto più meritevole di critiche chi, su questi temi, tace o fa finta di niente, piuttosto di chi, invece, qualcosa di tangibile ha comunque fatto. E con qualche risultato. Ma su questo tornerò dopo.
    Venendo al merito, della lettera di Yuri non mi convincono alcuni passaggi: non condivido l’idea che l’unico risultato tangibile dell’iniziativa “Chiudere Casa Pound” sia stato uno sprazzo di “buona stampa” per i fasci. Le iniziative, ovviamente, vanno considerate anche e soprattutto per quello che sono e per la dinamica che si sviluppa in chi vi partecipa: la serata del Baraccano è stata una bella serata, molto partecipata (e non era scontato) e con un livello degli interventi di assoluto spessore. L’atteggiamento, il coinvolgimento e la partecipazione dei presenti, appartenenti o no a strutture organizzate, attivi o meno politicamente, mi ha confermato questa impressione.
    L’assemblea del Baraccano ha avuto un prima e un dopo: come noto, è stata preceduta e “provocata” dal tentativo di Casa Pound di presentare il libro del tristemente noto P. L. Concutelli, tentativo fallito per il blitz organizzato dal Tpo in Consiglio di Quartiere. Credo che questa sia stata un’azione e una proposta politica che non è morta su se stessa ma sta producendo dibattito, iniziative e confronto sul tema. Quando i soloni della stampa bolognese gridano al liberticidio dovrebbero sempre ricordarsi chi è Concutelli, chi sono questi personaggi, qual’è il loro universo valoriale e simbolico, di cosa si sono macchiati. Il fatto che Concutelli e i suoi (pochi) accoliti si siano dovuti rintanare nella propria fognetta per potere delirare in tranquillità di valori occidentali et similiaria, e che da oggi non potranno più chiedere sale pubbliche per propagandare i propri deliri, beh! Questo lo ritengo un risultato.
    Il dato forse più significativo dell’assemblea serale è stata la presenza non trascurabile di persone estranee ai classici circuiti di movimento e di diversi abitanti del quartiere. Quartiere, non lo scordiamo, che non è certo una roccaforte rossa (ammesso che ancora ne esistano..) e che già in passato ha dovuto assistere alle iniziative neofasciste. Ritengo inoltre che sia stato importante che, in quella sede, esponenti del mondo istituzionale (come il Presidente Forlani) si siano espressi pubblicamente e abbiano preso precisi impegni sull’opportunità di non concedere più spazi pubblici ai neofascisti, cosa che invece stava per accadere solo poche settimane prima. Questo lo ritengo un risultato. Forse qualcuno lo considera piccolo, ma è un risultato.
    Non credo alla formula del “bene o male, l’importante è che se ne parli” e non credo che tutti, a Bologna, abbiano ben chiaro di cosa siano effettivamente queste formazioni neofasciste. Se da queste iniziative può scaturire una maggior consapevolezza, ben vengano. E questo credo che sia avvenuto. Basta vedere le facce di chi legge i vari dossier (di diversa provenienza) che opportunamente circolano in questi mesi. Non scordiamoci che Bologna è si città medaglia d’oro alla Resistenza, ma anche la città in cui una percentuale altissima di studenti delle scuole medie superiori è fermamente convinta che la strage del 2 agosto sia stata fatte dalle Brigate Rosse. E parliamo di Bologna, non di un quartiere “nero” di Roma o Milano..
    Vengo ora al dibattito sul termine “chiusura”: ritengo che il termine chiusura indichi una scelta di campo, chiara e netta, senza stupide mediazioni “di rito”. Scelta che significa anche chiusura politica, inagibilità, isolamento istituzionale, disvelamento. Che allude ad un percorso, politico, culturale e militante, fatto di molte cose e di molti elementi, da sviluppare nel lungo periodo, piuttosto che ad un evento singolo e definitivo. Se l’indizione dell’assemblea (per forza di cose schematica e “urlata”) può aver suscitato delle perplessità, il suo svolgimento, il tono e i contenuti di quello che vi si è ascoltato e detto credo che abbiano tolto ogni dubbio in merito. Se di battaglia culturale e politica c’è bisogno, più che di isteria “resistenziale”, come dice Yuri (e condivido), bè, credo che quell’evento ne possa costituire un ottimo esempio.
    Dopo di chè…anche le battaglie per la chiusura del Cpt (che vogliamo chiuso e non “migliorato”) o contro la nuova base di Vicenza (che vogliamo chiudere e non che sia solo “spostata”) hanno la necessità di individuare il punto focale con parole d’ordine chiare e prassi politiche lunghe, complesse, multiformi: ci si pone il problema della chiusura fisica di questi luoghi. Magari non oggi, non domani ma…prima o poi, si! Credo che sia questa la differenza fra noi (tutti noi, spero e credo) e, tanto per capirci, il Pd o simili, che pur di non prendere posizione su nulla sarebbero disposti a costruirla sui pattini, la base militare!
    Sull’opportunità di coinvolgere di più e meglio le altre realtà di movimento: può essere, tutto è perfettibile…In ogni caso l’iniziativa del Baraccano ha visto la partecipazione di tanti e tante, diversi e differenti, appartenenti o meno a soggetti organizzati. Alcuni hanno preso parola, altri no, alcuni hanno (giustamente) colto l’occasione per lanciare e promuovere iniziative antifasciste che si terranno in altri luoghi e in altre situazioni, promosse da altri soggetti, diversi e differenti da chi ha promosso la serata in questione. E questo è un fatto. Credo che su questo fronte più sono le occasioni di dibattito e meglio è. Credo che sia un bene che la città sia attraversata da tutto ciò, indipendentemente da chi sia il promotore.
    Concludendo, credo che la bontà dell’iniziativa di qualche giorno fa stia anche in questo, nella possibilità che soggetti politici (e persone) diverse si confrontino sulle questioni, francamente e seriamente, come spero di aver contribuito a fare.
    Con rispetto, L.

  3. R. says:

    Non condivido, Yuri, le tue valutazioni sulla mappatura: è vero che Casapound ha tentato di presentarsi come vittima agitando a vanvera addirittura l’eventualità di un nuovo possibile “rogo di Primavalle”(!?!). Questo accostamento infamante e gratuito dovrebbe bastare a capire i loro metodi, che si sono poi ridicolizzati da sé quando Casapound e Blocco studentesco hanno accusato la trasmissione “Chi l’ha visto?” di “volere il morto”.
    Qualcuno riesce seriamte a immaginare la Sciarelli come istigatrice di omicidi plitici?
    Ma, naturalmente, ci sono giornali che Casapound la sponsorizzano: da Panorama, di proprietà di non so quale Berlusconi, al Corriere della Sera, al Resto del Carlino, che di versioni innocentiste quando si tratta di nazifascisti se ne intende a dir poco almeno dal ’44, come dimostra l’articolo che pubblicò all’epoca dell’eccidio di Marzabotto, in cui quella testata, che ha il coraggio incivile di riproporsi con lo stesso nome, smentiva le notizie del massacro che iniziavano a circolare.
    Come si suol dire: a ciascuno il suo mestiere…
    Ma è anche vero che Casapound, dopo aver minacciato querele e sollecitato indagini, non ha saputo sinora veder riconosciute le sue squallide e indimostrate illazioni. Né sembra aver acquistato maggiore agibilità, anzi: senza essere stata oggetto di aggressioni fisiche, quel gruppuscolo neofascista ha incontrato una serie di dinieghi e di rifiuti di ospitalità per le sue chiacchiere.
    Probabilmente, se nessuno avesse sollevato il problema,le sarebbe andata meglio, non credi?
    Non bisogna forse mettere nel conto della pubblicità di Casapund, anche la “pubblicità” negativa? E cosa si saprebbe dell’associazione razzista Edera se non ci fosse stato un lavoro di documentazione e di controinformazione?
    Riguardo all’utilità della mappatura: è molto richiesta su cartaceo e molto visitata in rete. Solo per insana curiosità? No, come si
    può constatare quando si diffonde il dossier scambiando due parole con chi lo richiede.
    Inoltre nell’attività antifascista svolta da qualche anno a questa parte non c’è soltanto la mappatura. Altrimenti si rischia di discutere soltanto di quello che esce sui giornali, di quello che giornalisticamente “fa notizia” (come la mappatura curata, pubblicata e diffusa dall’AAP e la serata “Chiudere Casapound”, organizzata dal TPO). C’è invece un insieme di attività molto più invisibili o non importanti da quel punto di vista (volantinaggi, manifesti, discussioni, incontri,iniziative nei quartieri, convegni e giornate di studio, ecc.) che è il terreno più importante per chi ha adottato un certo stile di lavoro. Lo vogliamo ignorare soltanto perché i giornali non ne parlano? Sarebbe un errore che viene fatto frequentemente quando si tratta di movimenti.

    Riguardo al lancio della campagna “chiudere Casapound”: di fatto, come hai notato, è stata lanciata senza verificare preliminarmente il suo grado di condivisione o di non condivisione, cioè è partita con un errore di metodo che crea difficoltà e verosimilmente qualche imbarazzo, che non vuole, e secondo me non deve, trasformarsi in polemica.
    E’ però lecito e necessario criticare, evitando programmaticamente la sterilità distruttiva degli “scazzi”, perché le differenze di valutazione sono intrinseche alla proposta e alla pratica politica, quando si tratta di una pratica viva e non della mera sopravvivenza di una “identità” ripiegata su se stessa e sulla propria perpetuazione, che credo non interessi nessuno. Del resto, una completa uniformità di vedute significherebbe staticità, inerzia, incapacità di correggere, rettificare, trasformare il proprio pensare ed agire.
    Riguardo al merito: sulla parola d’ordine “chiudere Casapound”, nutro delle perplessità e provo a spiegarmi:
    Le forme di protesta contro iniziative di Casapound sono state fin qui forme determinate. Si è cioè trattato di contestare, in forma non cruenta, ma fin qui efficace, una detreminata iniziativa, la sua localizzazione, insomma: “contestiamo il fatto che tale iniziativa venga ospitata nel tal luogo”.
    Si trattava, insomma, almeno per come la comprendo, di un’attività tesa alla delegittimazione, senza che l’obiettivo di “chiudere Casapound” comparisse all’orizzonte.
    Prova ne sia che, quando Casapound fa le sue iniziative nella propria sede, non si è mai cercato e neppure pensato di impedirlo.
    Quindi ci sarebbe da capire meglio che cosa intende con la frase “chiudere Casapound” chi ha lanciato la proposta.
    Perché se si intende: cercare di farle il vuoto attorno, far sì che non diventi “normale” e incontrastata la sua presenza e non diventi accettabile (o accettato) il suo “fascismo del terzo millennio”, allora potremmo capirci e, in questo caso, ci si dovrebbe chiedere se la parola d’ordine esprime con chiarezza e senza equivoci quel programma (secondo me, no, ma il mio è solo uno dei tanti pareri possibili), se invece viene inteso alla lettera, allora temo che si correrebbe i rischio di agitare un obiettivo che non nasce dalle esperienze che faccio, e che potrebbe rivelarsi mobilitante nell’immediato, ma di realizzazione a dir poco incerta.
    Mentre, secondo me, si tratta di proporre cose fattibili e, possibilmente, di realizzarle, come si è fatto con iniziative specifiche, determinate,limitate, che hanno almeno il pregio di essersi mostrate realistiche, e di essere state effettivamente realizzate.
    Al di là di ogni possibile disaccordo su uno più punti, penso che hai fatto bene ad aprire una discussione di cui c’è bisogno, e che la decisione del blog di riproporre il tuo intervento sia stata utile.

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