Le veline di CasaPound


Ripubblichiamo da “Umanità nova” n. 23 del 14 giugno 2009
un resoconto sul portone di CasaPound bruciato a Bologna il 4 giugno e ringraziamo la redazione del giornale anarchico per la solidarietà dimostrataci di fronte alla vocazione poliziesca e inquisitoria dei “fascisti del terzo millennio”.

Intorno alle 4.40 del 4 giugno, a Bologna una mano ignota ha appiccato il fuoco al portone della sede dell’associazione neofascista CasaPound. In quel momento, all’interno della sede stavano dormendo il dirigente Alessandro Vigliani e la fidanzata. La Polizia, chiamata subito sul posto da Vigliani, ha spento le fiamme con un estintore prima dell’arrivo dei Vigili del Fuoco. Sul posto sono stati trovati scampoli di stoffa imbevuti di liquido infiammabile e i resti di una tanica in plastica da 5 litri.

Secondo gli inquirenti i piromani hanno organizzato nei dettagli il gesto, ma l’attentato incendiario non avrebbe comunque potuto danneggiare altro che la porta esterna d’ingresso. Ovviamente i neofascisti hanno sfruttato al massimo l’occasione per posare da bravi ragazzi perseguitati, lagnandosi sui giornali di un «attentato alle nostre vite».

Certo fa impressione che un’organizzazione dichiaratamente neofascista e violenta come CasaPound si scandalizzi delle intimidazioni solamente nei rari casi in cui le subisce, mentre in tutt’Italia pratica con sistematicità l’aggressione squadrista e il suo guru indiscusso, Gianluca Iannone, ha una spiccata e documentata attitudine per il pestaggio. «Nel dubbio mena» è uno dei motti preferiti e più applicati dai militanti di CasaPound. Sbarcando a Bologna avevano promesso «panico», e anche recentemente hanno rivendicato il valore del «pugno nello stomaco» e del «calcio nei denti».

Allo stesso modo, pare indecente e ipocrita lo sdegno della destra razzista e xenofoba, che a Bologna non è mai riuscita, in questi anni, a prendere le distanze nemmeno dalle svastiche sui monumenti partigiani, dagli attentati incendiari contro i migranti, dai pestaggi e dalle continue angherie e minacce contro studenti, giovani di sinistra e malvestiti. Una destra neo e/o «postfascista» che non intende davvero tagliare i ponti né con le proprie origini totalitarie e antisemite, né con il proprio passato stragista, né con il proprio presente di violenza legale e illegale.

Non sorprende, del resto, che i giornali di regime diano regolarmente spazio ad Alessandro Vigliani senza mai ricordare il suo curriculum noto e meno noto di nazistoide violento, fra cui spicca una denuncia – e copiamo il pomposo linguaggio dei tribunali – «per associazione per delinquere finalizzata alle lesioni personali, al porto abusivo di armi improprie, alla violenza privata ed alla discriminazione, all’odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» (traduzione: un gruppo organizzato che picchiava migranti). In tempi di crisi i neofascisti vanno coccolati dalla stampa borghese e ogni voce critica va invece criminalizzata. Come sorprendersi? Era già successo negli anni Venti.

Resta il fatto che l’attentato incendiario contro CasaPound non è stato rivendicato da nessuno e può averlo compiuto chiunque. Invece i leader di CasaPound hanno le idee chiare tanto che paiono candidarsi a dirigere la Questura. «Non si tratta di Tpo, Crash o centri sociali. Le forme politiche organizzate non fanno queste cose», dichiara Vigliani al Resto del Carlino. E il responsabile Massimiliano Mazzanti parla allusivamente dei «professionisti dell’antifascismo». Non da oggi i neofascisti di CasaPound usano i giornalisti amici per criminalizzare quella parte del movimento antifascista bolognese che svolge un lavoro permanente di denuncia e inchiesta sul fenomeno neofascista in città e sui suoi appoggi istituzionali. Un lavoro pubblico, alla luce del sole, organizzato in assemblea aperta, da persone che si riconoscono nei valori dell’antifascismo (http://assembleantifascistabologna.noblogs.org). Ed è una conferma che ciò che più irrita e ostacola il neofascismo è la lotta e la contestazione sociale. Oggi si tratta anzitutto di contrastare nella testa della gente ogni spazio per idee nazionaliste e pratiche razziste e sessiste. Si devono chiudere gli spazi di agibilità sociale e mentale per chi predica e pratica, palesemente o meno, l’odio e l’intolleranza.

Intanto, una prima risposta neofascista non si è fatta attendere. Nella notte del 5 giugno è comparsa una grande scritta nera sul sacrario partigiano di piazza Maggiore: «W il Duce! Onore a Gelli!», con due croci celtiche. Ed è una rivendicazione esplicita del totalitarismo fascista e del golpismo e stragismo neofascista. Al vittimismo lamentoso sui giornali si unisce, di notte, la minaccia indiretta, ma inequivocabile.

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