Il sangue e la celtica

Inauguriamo questa sezione del blog dedicata ai testi, film o altro tipo di documenti, che riteniamo utili allo sviluppo della riflessione sulle forme di discriminatorie attuali, sui "fascismi" vecchi e nuovi.

Da Militant, riportiamo la recensione al libro "Il sangue e la celtica" di Nicola Rao, con l’invito di andare a vedere anche i (numerosi) commenti sul blog, in cui si sviluppa un dibattito interessante.

 

 
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Più o meno due
anni fa usciva “La fiamma e la celtica”, primo libro della trilogia di
Nicola Rao sulla storia del noefascismo italiano. Il libro non aveva
emozionato; una cronistoria vista da un giornalista di destra, dei vari
partitini e movimenti neofascisti. Nulla di nuovo, si potrebbe dire. E
infatti il saggio fu accolto calorosamente dai vari camerati di tutta
Italia. Convegni, dibattiti, presentazioni del libro. Nicola Rao e il
direttore della collana, Luca “ciccio” Telese, i nuovi alfieri di un
giornalismo finalmente non asservito alla cultura antifascista delle
tanto odiate istituzioni.

Ma tutto era
destinato a cambiare col nuovo volume della trilogia, il secondo, “Il
sangue e la celtica”. E infatti questo nuovo saggio ha dato il via ad
una isteria collettiva negli ambiti neofascisti a dir poco
sconcertante. Subito uscito il libro, i vari caporioni del neofascismo
hanno gridato al complotto. Ma come, lo stesso autore tanto osannato,
tanto coccolato dalle varie anime nere, prima fra tutte casapound,
adesso viene rinnegato? Ma vediamo perché…

Innanzitutto il nuovo tomo si presenta molto più interessante del primo. Se il primo
era una già letta e riletta descrizione delle varie anime del
neofascismo, questo si propone un diverso obiettivo. Capire, cercare di
rileggere la stagione dello stragismo, e in particolare gli anni che
vanno dal 1969 al 1974, sotto un’altra luce. E questa volta il metodo
utilizzato da Rao funziona. Da una parte l’autore da voce ai diretti
interessati, ai protagonisti di quella stagione politica,
intervistandoli, facendoli parlare liberamente senza censure e senza
interviste di comodo. Un racconto di ampio respiro da parte dei
protagonisti dell’epoca. Dall’altra, il giornalista riporta tutta una
serie innumerovole di stralci delle inchieste giudiziarie e delle
sentenze a cui è arrivata la giustizia italiana fino ad oggi su quegli
anni. Sono i due strumenti con cui cercare di arrivare alla verità;
verificare convergenze e distorsioni fra il racconto dei magistrati e
quello di chi è indagato o è stato già condannato. Per confrontare le
due verità, cercare di trovarne una terza, non sul piano giuridico ma
su quello storico. Una verità storica a cui non può e non deve arrivare
un giudice, ma a cui Rao ha teso sin dall’inizio. L’obiettivo e il
metodo usato quindi convincono.

Fin qui, insomma,
il libro. Un libro interessante che consigliamo, perché, anche se il
giornalista è dichiaratamente di destra, ci convince appunto questo
metodo utilizzato.

L’altro aspetto interessante, e a dir poco grottesco, del libro sono state, come abbiamo  accennato,
le reazioni scomposte di tutta l’area neofascista italiana. Ora, delle
due l’una. O Nicola Rao è un bravo giornalista, finalmente libero da
quella vulgata antifascista che per tanto tempo ha imbavagliato la
cultura italiana, come hanno detto per il primo libro, oppure è un
personaggio asservito al complotto giudo-pluto massonico come hanno
riferito in questi giorni. Facendoci, ad onor del vero, schiattare
dalle risate. E si perché questi fascisti del 2000 sono una fonte
inesauribile di buon umore collettivo.

Ma vediamo il perché di questo dietro front repentino.

Le analisi che fa Rao giungono sostanzialmente alle stesse conclusioni cui è giunta tutta
la controinformazione prodotta in quegli anni, dalle associazioni delle
vittime delle stragi ai dossier prodotti dal movimento, fino, buon
ultimo, anche ad un certo corso della giustizia, che, senza incolpare
giuridicamente nessuno, ha fatto ricadere su quell’area la provenienza
di determinati attentati terroristici rimasti insoluti. Solo che è
appunto il metodo utilizzato che rende queste conclusioni più
interessanti. Non più le indagini dei magistrati asserviti allo stato
antifascista, strumento della repressione. Non più il lavoro di
controinformazione dei compagni, che è di parte a prescindere, e quindi
non potrà mai essere obiettivo. No, questa volta sono i diretti
interessati a parlare e a confermare la mano fascista dietro quelle
stragi. E quando non si arriva ad ammettere determinate responsabilità,
ecco che l’autore si fa forte delle prove, a volte inconfutabili, che
arricchiscono il quadro.

Quindi, potremmo
dire che è stato prodotta una ricerca che segna un punto fermo su di
chi sia la responsabilità di quegli eventi.

Per tutta risposta, i neofascisti italiani, toccati nel profondo da certe
dichiarazioni, sono letteralmente impazziti. Hanno cominciato ad
attaccare il giornalista, insultandolo, provocandolo, minacciandolo,
senza mai, e ribadiamo, MAI, entrare nel merito delle ricerche
prodotte.  Il gran capo di Casapound, Gabriele Adinolfi,
già simpatico maneggione della cassa di Terza Posizione ai bei tempi
che furono, è stato quasi preso da infarto fulminante. Centinaia di
insulti gratuiti verso l’autore, accusato di essere il braccio della
“Sperling & Kupfer” e della collana diretta da Telese, portatore
delle solite tesi sulle trame nere.

Ci spiegassero dunque perché non credere alle testimonianze dei diretti interessati,
ci dicessero dove sono state dette falsità, rispondessero alle ricerche
con altre ricerche. Perché non credere nelle prove prodotte da chi, in
vario modo, ha cercato di capire di più su quella stagione? Dai
magistrati ai movimenti, dalle associazioni delle vittime agli storici,
la verità che emerge è una ed una sola: Il braccio armato della
strategia della tensione è stato il neofascismo. Volutamente o
all’oscuro di disegni politici pensati dall’alto, i neofascisti sono
stati per anni la lunga mano dello stato per reprimere i conflitti di
classe che si producevano nel paese. Sono stati il braccio armato del
partito del golpe, apertamente ammesso da tutti i diretti interessati
nel libro.

Non si altrerassero tanto quindi i nostri amati camerati, pensassero piuttosto
a spurgarsi dalla fogna dalla quale provengono prima di poter parlare e
dire come la pensano su queste vicende.

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