Anarchici nella Resistenza a Bologna


Riceviamo da Marabbo e volentieri pubblichiamo un profilo di alcuni partigiani anarchici bolognesi. Guarda la lapide in via della Certosa per ricordare Attilio Diolaiti e Francesca «Edera» De Giovanni.

Anarchici nella Resistenza a Bologna

Il 2 novembre 1915 muore nel manicomio di Nocera Inferiore Emilio Covelli. La sua scomparsa, nonostante la guerra in corso, non passa inosservata, e non poteva che essere così: era stato uno degli uomini rappresentativi della prima internazionale, verso la quale c’era un reverente rispetto nel movimento operaio, senza che esso sprofondasse però nel mito. Continuamente perseguitato, come già Cafiero, Covelli non aveva retto il peso della repressione a livello psicologico e non aveva acconsentito di piegarsi a idee e pratiche più opportuniste. Nel 1883 aveva scritto: … io ho rifiutato tutto, ed ho bramato la miseria, le persecuzioni, le calunnie, per restare ciò che sono. E miseria, persecuzioni e calunnie, ma probabilmente anche riscontri sociali di un certo peso si attendono i giovani anarchici bolognesi che nel novembre 1915 fondano il Gruppo Anarchico Emilio Covelli, attivissimo contro la guerra. Fra questi Attilio Diolaiti viene ritenuto dalla questura il più influente, di conseguenza a neanche diciannove anni è chiamato alle armi; non si presenta e il sette settembre 1917 è denunciato al tribunale di guerra come disertore. Viene arrestato dai regi carabinieri a Baricella (frazione S. Giuseppe) – dove è nato il 17 settembre 1898 – e il 10 ottobre condannato a tre anni di reclusione e al pagamento delle spese processuali. Rinchiuso nel carcere di Savona, lo attendono varie vicissitudini processuali e di costrizione estrema, fino a che, circa a metà del 1919, torna in libertà, vigilata è sottinteso, e riprende la attività sovversiva. Era già stato tra gli organizzatori del convegno anarchico italiano del giugno 1916 e di quello regionale tenuto a Bologna allo scadere dello stesso anno, mantenendosi inoltre in corrispondenza con anarchici di un certo rilievo (fra tutti Armando Borghi e Pasquale Binazzi); ora le sue attitudini gli permettono di esser protagonista di importanti incontri decisionali del "biennio rosso": paradigmatico quello Pro Vittime Politiche del 28-29 agosto 1920 al quale partecipano i rappresentanti di tutte le organizzazioni di classe, politiche ed economiche. Il 21 ottobre 1920 è coinvolto nella retata del Consiglio Generale dell’Unione Sindacale Italiana, episodio storico di grande importanza perché segnala come in questo autunno il fascismo si innesti all’interno della cornice creata dalla repressione statale. Rilasciato circa due mesi dopo, secondo la questura professa gli stessi principi anarchici […] viene oculatamente vigilato. Con l’ottica odierna è arduo capacitarsi di come un ragazzo poco più che ventenne, commesso in una merceria e senza diplomi e lauree, potesse costituire una preoccupazione così accentuata per il sistema di potere di allora, eppure… C’è da dire che non era certo isolato, anzi, forse era proprio l’humus sociale a permettere l’agibilità sociale di personaggi come questo, che dal novembre del 1921 al luglio 1922 risiede a Verona con l’incarico di segretario amministrativo della locale Camera del lavoro aderente all’USI. Tornato a Bologna, in una Bologna sottomessa al tallone delle camice nere, non trovando un lavoro per ovvi motivi, in breve tempo avvia autonomamente un negozietto da merciaio. Dalle fonti di polizia sembra per alcuni anni inoperoso politicamente, ma appena si trasferisce in città (Vicolo Bolognetti n.4) viene sottoposto ai vincoli dell’ammonizione e dopo breve tempo, nell’agosto 1927, inviato al confino a Lipari in quanto anarchico influente che svolge attività antifascista. In realtà, passa per varie carceri e a Lipari arriva solo in ottobre, da dove ritorna a Bologna a fine gennaio 1930 con una carta d’identità particolare: pericoloso in linea politica. Del confino di Diolaiti possiamo trarre qualche notizia dai ricordi dell’anarchico imolese Primo Bassi: Vietato unirsi, vietato discutere, vietato scrivere, vietato sedere in esercizio pubblico, non dar luogo a sospetti; uno dei sotterfugi era quello di trovarci a pulire dei ceci o delle lenticchie, ognuno confidava al compagno un proposito, una volontà: RESISTERE! Attilio Diolaiti lo ricordo per primo, perché sempre primo per coraggio, per volontà, per rettitudine. Piuttosto piccolo di statura, era però simpatico nel gesto, nella correttezza personale e, soprattutto per la fermezza del carattere che avreste detto mite, ma che, nell’intimità dei propositi condivisi, diveniva adamantino. Era il buon Attilio al corrente di tutto il nostro lavorio di sottosuolo, ne era il coordinatore e spesso l’artefice sottile per scaltrezza e risoluzione. Abitava una cameretta a Marina Corta che qualche volta – dopo esserci infilati nell’andito al momento di confusione per lo sbarco del piroscafo di nuovi giunti – si riempiva di compagni. Ragionatore pratico e parsimonioso, si animava presto di propositi decisi che, una volta assunti, divenivano per lui impegni d’onore. Gentile con tutti, non era eccessivamente sorvegliato, ma il regime aveva in lui un avversario formidabile. Liberato dal confino, svolse una missione delicata avvertendoci dell’esito con una cartolina in cui era scritto: Le pelli di coniglio stanno subendo un rialzo notevole. Tornato a Bologna viene incluso nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze, quindi tutti gli anniversari della marcia su Roma, la presenza in città di Mussolini, la visita di Hitler in Italia e quant’altro. Nel 1933 viene classificato come possibile attentatore capace di atti terroristici, nel ’34 è incarcerato per una settimana come sospetto di attività sindacale anarchica e di rapporti con i fuoriusciti. La polizia annota che abita in Via Remorsella, convive con Dardi Fedora, è disoccupato e conserva le sue idee politiche, le quali a suo dire, sono nel suo sangue. Nel 1935 frequenta l’ex sindaco socialista Francesco Zanardi. Nel luglio 1941 viene richiamato alle armi e assegnato alla 112° compagnia minatori e zappatori dislocata a Lubiana. Ottenuta una licenza e tornato per breve tempo a Bologna, si fa altri quattro giorni di carcere in occasione visita di altissima personalità. Tra chissà quali traversie è nuovamente a Bologna nell’estate 1943, e incarcerato dal regime badogliano per una decina di giorni, avendo promosso alcune manifestazioni. Come rappresentante degli anarchici bolognesi partecipa al convegno clandestino di Firenze il 5 settembre 1943; è tra gli organizzatori della settima gap bolognese poi si trasferisce a Monterenzio, dove costituisce un gruppo partigiano a Savazza (o Salvazza). La base del gruppo pare fosse un mulino il cui proprietario – padre di Edera che "incontriamo dopo"– aveva distribuito il grano dell’ammasso alla popolazione. Dopo alcuni atti di sabotaggio, tra i quali i tagli di telegrafo e telefono per interrompere i contatti tra Roma e Berlino, il gruppo riceve l’incarico di presentarsi per un’azione in P.za Ravegnana la mattina del 25 marzo 1944 davanti a una bancarella di penne stilografiche. È una trappola, gestita da un infiltrato, tal Remo Naldi. Circondati dalla brigata nera vengono arrestati sei componenti del gruppo: Edera De Giovanni, Egon Brass, Ettore Zaniboni, Enrico Foscardi, Ferdinando Grillini, Attilio Diolaiti. Dopo varie sevizie, nella notte tra il 31 marzo e il primo aprile 1944 i sei vengono portati alla Certosa di Bologna e fucilati contro il muro dalla Compagnia Autonoma Speciale, al comando di Renato Tartarotti. Ridiamo la parola ai ricordi di Primo Bassi: Attilio Diolaiti sarà indubbiamente caduto sereno, da uomo e da anarchico. Due mesi dopo ricevetti un messaggio da una Brigata Garibaldi. Il figlio d’Attilio aveva preso degnamente il posto del padre. E qualche umile, degnamente lo riprenderà ancora. Edera De Giovanni è considerata la prima delle donne cadute nella resistenza bolognese, ad Attilio Diolaiti è stato riconosciuto il grado di capitano della prima brigata Irma Bandiera, altra partigiana bolognese caduta, la cui figura è tratteggiata nel libro Ribelli da Pino Cacucci. Alla commemorazione pubblica di Diolaiti, tenuta nella sede della Federazione Anarchica Bolognese in Via Lame 111 nell’aprile 1946, aderiscono l’Associazione dei Perseguitati Politici, il Partito Socialista, il Partito Repubblicano e i Libertari, componente del movimento che non si riconosceva nella FAI. Assente non certo a caso il Partito Comunista, proteso a egemonizzare la memoria della stagione resistenzialista, mitizzandola a suo vantaggio esclusivo e mal sopportando gli anarchici naturalmente avversi al totalitarismo di matrice staliniana. Negli anni ’50 l’edicola Diolaiti di Palazzo Re Enzo diffonde la stampa anarchica, ma questa è una storia che non conosciamo, magari però qualcuno la ricorda e ce la racconterà…
Marabbo

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