Mercoledì 28 ottobre verrà presentato a Bologna presso l’InfoSHOCK di XM24, in via Fioravanti 24, il libro di Nicoletta Poidimani “Difendere la razza”. Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini, edito da Sensibili alle Foglie nel 2009. Esaminare il passato, conoscere ciò che si combatte è necessario ora più che mai per chi vuole smantellare i cupi labirinti del presente. Riproduciamo sotto la Premessa del libro. Vedi anche la recensione su “Umanità nova”.
PREMESSA
Negli ultimi due decenni le ricerche sul colonialismo italiano hanno cominciato a suscitare un certo interesse anche in Italia, pur continuando a vigere una sorta di ostracismo nei confronti di chi osa scoperchiare questo vaso di Pandora. L’impresa coloniale rimane, così, nelle narrazioni dominanti, condizionata dal mito assolutorio degli italiani brava gente, nonostante lavori come La pelle giusta di Paola Tabet (Einaudi, 1997) abbiano fatto emergere la persistenza di stereotipi razzisti dell’epoca coloniale anche nelle nuove generazioni.
Le pagine che seguono sono la sintesi di un lavoro durato otto anni, con alterne vicende, tra l’Italia e l’Eritrea, Paese che ha subito più a lungo il colonialismo italiano (1890-1941) e che è stato il territorio privilegiato della mia ricerca sul campo per l’abbondanza di tracce architettoniche, antropologiche, culturali e documentarie ad oggi sussistenti.
Si tratta di un lavoro di tessitura fra importanti e innovative ricerche storiche e testi originali dell’epoca, attraverso la griglia interpretativa di Luciano Parinetto che, nel suo La traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi (Colibrì, 1997), ha dimostrato come i territori colonizzati – a partire dalla conquista delle Americhe – siano stati il laboratorio delle politiche poi importate in Europa. Se, infatti, il Nuovo Mondo è stato il terreno sperimentale dei dispositivi della caccia alle streghe europea, il Corno d’Africa è stato il laboratorio delle politiche razziali e sessuali attuate nell’Italia fascista.
Conoscere questa parte della nostra storia è urgente soprattutto oggi, col riattivarsi, sulla pelle di donne e uomini migranti, in nome della sicurezza, di vecchi e sperimentati dispositivi razzisti e de-umanizzanti che si formarono proprio nei cinquant’anni dell’esperienza coloniale in Africa. Molte parole “fascistissime” dell’epoca si ripresentano oggi nel linguaggio quotidiano così come torna a riaffacciarsi sempre più prepotentemente una concezione della donna e della famiglia di stampo clerico-fascista.
L’originalità di questa ricerca sta nell’evidenziare, anche da una prospettiva di genere, il convergere di diversi piani e codici comunicativi, così come di diverse discipline e saperi, nella costruzione della “razza italiana”. La bibliografia utilizzata è, di conseguenza, ampia e variegata: i testi di storia del colonialismo fanno da sfondo ai discorsi su “razza” e genere contenuti in testi medici, giuridici e antropologici, così come nei romanzi, nei quotidiani e nelle riviste di divulgazione popolare. Un’attenzione particolare è dedicata anche al ruolo di fotografie e cartoline nel costruire l’alterità e veicolare un immaginario di dominio.
Per non ingenerare confusione, ho sempre scritto tra virgolette il termine “razza”, perché questa categoria è reale solo in quanto effetto di rapporti di potere. Volutamente non mi occupo, qui, del lavoro svolto in colonia dai missionari, dalle suore e dai frati cappuccini. Il loro ruolo non ebbe particolare incidenza né rilevanza sulla costruzione ideologica della “razza italiana”, ma ne fu piuttosto una conseguenza. Infine, questa mia ricerca non ha pretese di esaustività; molto più modestamente vorrebbe essere un contributo per un sano revisionismo – non quel revisionismo assolutorio che pretende di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici ma un approccio che, invece, interroghi il nostro passato per comprendere più a fondo il presente.