Ripubblichiamo da SenzaSoste una presa di posizione contro gli ipocriti tentativi di rimozione delle violenze e degli omicidi di stato che riempiono gli annali della storia italiana del Novecento. È anche questa una forma di revisionismo storico e di strumentalizzazione politica del passato tipica dei regimi autoritari.
Che la vedova Pinelli stringa la mano alla moglie di Calabresi è un fatto privato che doveva rimanere tale. Invece viene utilizzato dal potere politico per pacificare ed unire carnefici e vittime. Noi non ci rassegniamo a questi tentativi di distruggere la memoria dei nostri morti, tanti, troppi. Uccisi da uno stato che continua ad autoassolversi. Proponiamo un articolo del cartaceo che ripercorre la reale storia di Calabresi, questo è il nostro modo di dissentire dalla “giornata del ricordo di parte”. Ulisse Ognistrada (09/05/2009)
Contrariamente a quanto si pensi, l’opera di falsificazione e repressione, compiuta da Calabresi. non inizia con le indagini su piazza Fontana e con l’omicidio Pinelli, ma alcuni mesi prima.
Sono tre anni che Calabresi è nella squadra politica, ma già si mette in evidenza quando deve fronteggiare le manifestazioni e lo fa con rara rabbia, da buon figlio della borghesia artigiana, riuscendo a procurarsi alcune denunce per ATTENTATO AI DIRITTI DEI CITTADINI contraddicendo le voci che (oggi) lo dipingono come un “moderato”.
Il 25 aprile 1969 scoppiano due bombe alla Fiera di Milano ed alla stazione centrale, Calabresi indirizza le indagini in una sola direzione, sui gruppi extraparlamentari di sinistra e sugli anarchici, indagini che portano al fermo di 15 militanti di sinistra; si aspettano mesi per interrogare gli arrestati, ma nonostante la cocciutaggine del commissario aggiunto, dopo sette mesi i fermati vengono rilasciati per mancanza di indizi, alzando un caso politico che finirà davanti al tribunale dell’Aia per i diritti dell’uomo.
Il 12 dicembre 1969 alle 16:37 in piazza Fontana, nel centro di Milano, esplode una bomba provocando diciassette morti e ottantotto feriti, ma in quel giorno non sono le sole: una seconda bomba fu rinvenuta a Milano nella Banca Commerciale, successivamente fu fatta brillare distruggendo elementi importanti per risalire a chi avesse preparato gli ordigni. Altre tre esplodono a Roma causando 17 feriti. Cinque attentati nel pomeriggio dello stesso giorno, concentrati in un lasso di tempo di soli 53 minuti.
Le indagini milanesi guidate dal Commissario Calabresi si indirizzano, immediatamente e senza dubbi, su anarchici e gruppi di sinistra portando al fermo, senza prove o accuse, di centinaia di persone tra cui un ferroviere anarchico: Giuseppe Pinelli.
Per smentire le ciarle di chi ancora oggi sostiene la storia del buon commissario, Pinelli racconta ad un fermato di sentirsi perseguitato da Calabresi e di avere paura di perdere il posto alle ferrovie, inoltre lo stesso fermato, sbirciando i fogli d’ordine lasciati su una scrivania legge del “trattamento speciale” riserbato a Pinelli: non farlo dormire e tenerlo sotto pressione per tutta la notte.
Il 15 dicembre nelle stanze al quarto piano dell’ufficio politico ci sono ancora un centinaio di fermati che, dal venerdì delle bombe, sono sottoposti a continui interrogatori e pestaggi. Aldo Palumbo, cronista dell’Unità di Milano, muove i primi passi per attraversare il cortile ed è l’unico a sentire il tonfo della caduta di Giuseppe Pinelli dalla finestre dell’ufficio del commissario Calabresi, lo vede a terra, morente. Il giorno dopo troverà la sua casa sotto sopra in segno di chiaro avvertimento nel caso che Pinelli, morente, avesse rivelato qualche cosa. La mattina dopo tutti i quotidiani escono a grossi titoli con la notizia del suicidio del Pinelli.
Perché Pinelli avrebbe dovuto suicidarsi?
Tutti quelli che lo conoscevano sapevano che disprezzava i suicidi e li condannava, diceva che erano vigliacchi. Non solo: era anche un veterano degli interrogatori (oltre 20) e conosceva bene i sistemi della polizia. Il trucco della confessione di Valpreda (il maggiore indiziato come esecutore della strage) con lui non poteva funzionare.
La storia di Pinelli suicida non regge perché chi si butta nel vuoto fa un salto e non sfiora il muro, come accadde a Pinelli e non rimbalza su due cornicioni. Pinelli è stato gettato dalla finestra dell’ufficio di Calabresi.
Tralasciando le incongruenze, le menzogne ed i depistaggi sulla morte di Pinelli, è utile ricordare, per capire chi era Calabresi, che nel 1971, dal processo sugli attentati del 25 aprile, saltano fuori particolari umilianti per la polizia, verbali spariti, altri falsificati, biglietti messi in tasca ad un imputato. Le accuse crollano, Calabresi viene fischiato in aula e gli sono accollate tutte le responsabilità. In quei giorni la stampa rinfocola le accuse a Calabresi, anche giornali notoriamente non di sinistra lo accusano.
Nonostante queste premesse, la polizia premia Cabresi nominandolo commissario capo. Un modo per dire : “bravo hai fatto un buon lavoro”.
A questo punto la figura del commissario capo Calabresi è chiara.
Torture in interrogatorio, depistaggio di indagini, verbali falsificati e uccisione di Pinelli.
Come sappiamo la realtà giudiziaria è una, spesso pilotata, molte volte di parte.
La realtà storica ha, di contro, fatto il suo processo ed emesso la sua sentenza.
Pinelli: Pasquale Valitutti dichiara “dopo 40 anni mi aspettavo la verità”
di Angelo Pagliaro
(da rivist@)
Sabato 9 maggio 2009 è stato il giorno in cui lo Stato ha inserito, nel lungo elenco delle vittime della strage di Piazza Fontana, Giuseppe Pinelli. Nel corso della celebrazione della giornata dedicata alla memoria di tutte le vittime del terrorismo, tenutasi al Quirinale alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, le vedove del commissario Luigi Calabresi e del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli si sono strette la mano. Un gesto di riconciliazione per alcuni, un avvenimento storico per altri, ma per Pasquale Valitutti, uno dei tanti anarchici fermati quella sera insieme a Pinelli, l’evento cela ben altro intento: “Dopo 40 anni di lotte, verificata l’impossibilità di fare calare il velo sull’assassinio di Giuseppe Pinelli, il potere ha pensato di raggiungere il suo scopo dicendo una piccolissima parte di verità”. Ma chi è Pasquale Valitutti, detto Lello? Un anarchico di origine calabrese che negli anni ’70 militava nel movimento milanese. Stimato per le sue doti umane e politiche, è l’unico testimone vivente della tragica notte tra il 15 ed il 16 dicembre quando, dopo ore estenuanti di attesa, seduto dietro la porta dell’ufficio del Commissario Calabresi, aspettava che Pinelli uscisse dalla stanza per essere interrogato. Ma ecco, nel silenzio di una fredda notte decembrina accadere qualcosa di strano. Valitutti, con voce rotta dall’emozione, continua così il racconto: “saranno state le 11 e mezzo, grosso modo, in quella stanza succede qualcosa che io ho sempre descritto nel modo più oggettivo, più serio, scrupoloso, dei rumori, un trambusto, come una rissa, come se si rovesciassero dei mobili, delle sedie, delle voci concitate”. Il racconto che fa Pasquale Valitutti di quella sera è sempre lo stesso da 40 anni, non è mai cambiato di una virgola, al contrario delle versioni riferite ai magistrati dalla maggior parte degli altri testimoni presenti nella stanza, che hanno cambiato più volte versione, mettendo in discussione persino il rapporto firmato dal Commissario Capo di P.S. Dr. Allegra redatto lo stesso giorno della tragedia e riportato integralmente da Adriano Sofri nel libro da “La notte che Pinelli”, in cui si afferma che Calabresi era in quella stanza quando Pinelli si gettò dalla finestra.
Ma oltre a ripercorrere le varie fasi di quella sera Valitutti ci tiene ad affermare che oggi, seppur contento “specialmente per la famiglia di Pino che si sia ufficialmente riconosciuto che Pinelli era un uomo veramente degno di stima e rispetto e ci si sia accorti che è stato una vittima”, non è disposto ad accettare che questo sia il punto di arrivo. Anzi – dichiara con forza – “per me questo è un punto di partenza per arrivare alla totale verità”. E conclude la sua dichiarazione riaffermando la sua quarantennale versione: “il compagno Giuseppe Pinelli è stato materialmente assassinato dai signori: Calabresi, Lograno, Panessa, Muccilli, Mainardi e Caracuta su mandato degli alti vertici di polizia e governo. Se qualcuno si sente calunniato sporga denuncia e ci si dia la possibilità di un nuovo processo. Io continuo a chiedere giustizia e verità per il nostro compagno Giuseppe Pinelli. Si aprano gli armadi, si rimuova il segreto di Stato sulle stragi e si dica la verità su tutto quel periodo”. Una dichiarazione che cade come un macigno in un momento politico come questo, in cui le pacche sulle spalle, gli abbracci, le strette di mano, i sorrisi primeggiano nelle foto a colori diffuse dai quotidiani. Accuse dirette, che Pasquale Valitutti ripete da anni e nonostante un processo che ha ormai dato una fine a quella tragica vicenda. Sono in tanti a credere, anche nel movimento libertario, che Licia Pinelli sarebbe dovuta andare al Quirinale solo dopo che fosse stata riconosciuta pubblicamente la verità, tutta la verità su un uomo fermato come testimone e non imputato, tenuto illegalmente in un luogo (la Questura) dove gli onesti dovrebbero sentirsi al sicuro. Si faccia un ulteriore passettino ha chiesto a Giorgio Napolitano Licia Pinelli, “sinora lo Stato non ha messo a disposizione i suoi archivi, i suoi armadi con i fascicoli. Ma sono passati 40 anni, il mondo è cambiato tantissimo, perciò dopo tante sofferenze, lo facciano. Mi piacerebbe un passo concreto, vero, logico e naturale, e cioè che cadesse ogni segreto sulla strage di piazza Fontana”.
Cosa puoi fare contro la megamacchina della falsificazione, contro ciò che è vero, la plastica è più naturale dell’acqua fresca ed il calderone è sempre mescolato e tutto è confuso.
Odio rabbia oblio