Per il Festival delle culture antifasciste (3)


Ripubblichiamo da “Umanità nova” n. 16 del 26 aprile 2009 una riflessione sul Festival sociale delle culture antifasciste che si terrà a Bologna dal 29 maggio al 2 giugno. Intanto si possono inviare documenti, riflessioni, analisi e notizie su temi specifici dell’antifascismo nel forum del Festival:
http://forum.fest-antifa.net.

Per un Festival sociale delle culture antifasciste

Qual è la posta in gioco nell’organizzare un Festival delle culture antifasciste come quello – plurale, aperto e autogestito – che si prepara a Bologna dal 29 maggio al 2 giugno 2009?

Oggi ci troviamo di fronte a una serie molteplice di fenomeni reazionari, in parte eterogenei, ma sempre più interrelati e capaci di rafforzarsi l’un l’altro: leggi e decreti autoritari, razzismo di stato, familismo, perbenismo, populismo, manipolazione revisionista della memoria sociale, politiche e campagne «securitarie», inviti alla delazione contro i «clandestini», minacce e attentati contro i migranti, atti sessisti e omofobi, aggressioni e violenze neofasciste, rastrellamenti di corpi da «espellere». In prima approssimazione, tutto ciò può ben essere chiamato «fascismo» o «fascistizzazione», non solo per i richiami espliciti al Fascismo storico, ma soprattutto per la riattivazione di discorsi e dispositivi di potere tipici del Ventennio. È come se fossimo in una stanza completamente buia e cercassimo di riconoscere a tentoni un oggetto che abbiamo dinanzi: possiamo solo dire che è ampio, mobile e pericoloso. Ogni soggetto oppresso ne percepisce nitidamente qualche dettaglio: occorre mettere insieme i pezzi e creare reti trasversali di lotta e solidarietà finché resta aperta la possibilità di una battaglia pubblica per la libertà e l’uguaglianza sociale. Non si creda che sia un’esagerazione. Orwell scriveva nel 1937: «Prima di dichiarare che un mondo totalitario è un incubo che non potrà mai avverarsi, ricordate che nel 1925 il mondo in cui viviamo oggi sarebbe sembrato un incubo, che non poteva assolutamente avverarsi».

Sta di fatto che, accanto all’esigenza di mobilitarsi, abbiamo bisogno di conoscere le nuove strategie dell’autoritarismo: infatti solo il confronto e la collaborazione intellettuale tra storici contemporanei, ricercatori sociali e militanti antifascisti può offrire un retroterra e un orientamento per decifrare le rapide, insidiose trasformazioni della nostra società. Non è certo un caso che negli ultimi mesi si siano programmate due iniziative in parte simili: non solo il Festival di fine maggio, ma anche il convegno «Trasformazioni dello Stato e della società: deriva autoritaria e mobilitazione reazionaria» promosso a Marina di Massa il 18 e 19 aprile dal Coordinamento nazionale contro il revisionismo storico, intersecando le competenze di studiosi, di realtà militanti, dell’ANPI, di lavoratori, di associazioni di migranti (ed è importante fare in modo che, anche con una raccolta fondi, la pubblicazione degli atti sia il più possibile tempestiva). Già questo convegno mette a confronto vecchi e nuovi fascismi, il passato e l’attualità, lasciando ampio spazio a un dibattito a tutto campo.

Certo il Festival delle culture antifasciste prevede anche altro: concerti, spettacoli teatrali, video, mostre, seminari, presentazioni di libri, momenti in cui vi è ancora una divaricazione tra produttori e utenti, non solo per rivolgersi a un pubblico il più possibile ampio ed eterogeneo, ma soprattutto per sperimentare nuovi linguaggi e possibilità dell’antifascismo, sottraendolo ai riti consunti della legittimazione democratica per proiettarlo al centro delle lotte di oggi, come espressione di libertà inattuale e utopica, come sogno di una società finalmente liberata e «acefala». Tuttavia, e anzi proprio per questo, il cuore del Festival resta la pratica autorganizzativa, orizzontale, autogestita: anzitutto quella dei Tavoli di discussione come spazi liberi di dibattito intorno ad ambiti e problemi specifici, a cui tutt* sono invitati a contribuire.

La logistica dei dibattiti prevede così due livelli indipendenti, due assi che possono incrociarsi, ma che restano però su piani diversi. Da una parte il Festival va strutturandosi in una serie di giornate tematiche: il 29 maggio vi saranno iniziative sulla memoria storica e i revisionismi; il 30 sulle trasformazioni del neofascismo, sulla rete delle sue complicità istituzionali, sui modi per contrastarlo e per promuovere un antiautoritarismo rivoluzionario; il 31 si discuterà di razzismo, xenofobia e politiche securitarie; l’1 della normalizzazione delle identità sessuali, dell’omofobia, del familismo, di sessismo ed eterosessismo; la giornata finale sarà dedicata invece a un’assemblea plenaria che dovrà raccogliere e rilanciare le diverse analisi e proposte.

Trasversalmente a questa partizione per giornate, vi sarà il costituirsi dei Tavoli come luoghi permanenti di dibattito, di analisi, di coordinamento e di proposta, in modo che il Festival non sia solo un evento chiuso in se stesso, ma si proietti in avanti sedimentando una rete di contatti, di prospettive, di discorsi, di tecniche d’intervento, di mobilitazioni.

Proprio la definizione dei Tavoli – il fatto che ognun* parta dalla propria esperienza e dai propri desideri per incontrare altr* – diventa allora la sfida più rilevante e ardua del Festival: quella di prefigurare e organizzare una comunità di lotta molteplice, in divenire, senza mitologie, sotto il segno dell’antifascismo come utopia di liberazione dalle violenze del patriarcato, del capitale e dello stato. Per sperimentare, già nelle lotte, la creazione libera e ininterrotta di noi stessi.

Vedi anche Verso il Festival delle culture antifasciste (2) e Verso il Festival delle culture antifasciste.


Ripubblichiamo dal “Manifesto” del 26 aprile anche un’altra riflessione sul Festival delle culture antifasciste che coglie bene il carattere sperimentale e nuovo della cinque giorni bolognese.


Un festival sociale dell’antifascismo. Per arginare il razzismo dilagante

L’iniziativa dei centri sociali con il patrocinio dell’Anpi. «Vogliamo combattere il fascismo del nostro tempo sul piano culturale»

Un Festival sociale delle culture antifasciste a Bologna dal 29 maggio al 2 giugno nel parco delle Caserme Rosse, luogo non scelto a caso perché dopo l’8 settembre funzionò come campo di prigionia e smistamento verso la Germania dove diversi carabinieri che si erano rifiutati di rastrellare gli ebrei vennero fucilati dai nazi fascisti. L’appuntamento è stato pensato da un gruppo di antifascisti degli spazi sociali bolognesi ed è stato costruito assieme all’Anpi che ha dato il suo patrocinio ad un’iniziativa che si presenta unica nel suo genere in questo momento in Italia.

Nell’appello che è girato in rete rivolto a tutte le realtà antifasciste della città e alle reti nazionali c’è una frase del 1962 di Pier Paolo Pasolini che inquadra la situazione e in qualche modo l’urgenza che ha portato all’ideazione del Festival. «L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo»; questo scriveva l’intellettuale italiano quasi cinquanta anni fa. Ma lo «scenario odierno è assai peggiore di quello descritto da Pasolini – prosegue l’appello – ora che, con la crisi economica, il benessere va scemando, resta solo la stupidità, l’incultura, il perbenismo, l’arroganza, il grigiore di violenze e soprusi quotidiani». Il Festival sociale delle culture antifasciste parte dalla considerazione che il solo antifascismo militante si è dimostrato inadeguato rispetto ad un’ondata culturale che ha fatto della paura e del sospetto verso tutte le diversità una forma di collante sociale. «Ci sono tre livelli del fascismo – riflette Vittorio, uno degli animatori del sito antifa (www.ecn.org/antifa) che puntualmente da anni tiene il calcolo di tutte le aggressioni a sfondo razziale o omofonico che si verificano in Italia – quello del governo alimentato da provvedimenti come il pacchetto sicurezza o il progetto di legge 1360 che equipara i partigiani ai repubblichini, c’è la destra neofascista militante da Forza Nuova a Casa Pound con il corredo di azioni violente e c’è il livello del consenso, quello che porta settori della cittadinanza a rispondere bene alle ronde o chiunque a sentirsi legittimato se va a pestare un immigrato». Chi sta organizzando l’appuntamento bolognese pensa che sia necessario agire su questo terzo livello, lavorando sull’immaginario, sulle percezioni (pensiamo alle distorsioni prodotte da quella di sicurezza), sulle giovani generazioni.

Il tentativo è di chiamare a raccolta «le tante produzioni culturali che hanno tra i loro presupposti quello dell’antifascismo e ci siamo resi conto che esiste una ricchezza particolare» spiega ancora Vittorio. Il programma della cinque giorni è quasi pronto è prevede presentazioni di libri, dibattiti, mostre, la presenza delle bande musicali e spettacoli teatrali. Da “Mai Morti” di Renato Sarti a “Il paese della vergogna” di Daniele Biacchessi fino a “Verona Caput Fasci”, la pièce scritta da Elio Germano ed Elena Venni che ricorda l’agghiacciante dibattito in consiglio comunale contro gli omosessuali quando 13 anni fa la città di Giulietta e Romeo fu l’unica a non ratificare la convenzione di Strasburgo. Tutti gli spazi sociali bolognesi sono coinvolti nell’organizzazione di un evento che è stato costruito con la sezione del quartiere Bolognina dell’Anpi e con l’Aned, l’associazione dei deportati. L’obiettivo, come scrive l’appello, è quello di «stimolare la nascita di nuove relazioni e dotarci di una scatola degli attrezzi per analizzare e agire nei confronti del fascismo che minaccia il nostro tempo».

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