NUOVO “PACCHETTO SICUREZZA”: LA LOTTA NON SI FERMA
(da Indymedia ER)
Confidando nel calo di interesse che nei tempi di vacanza affievolisce le già piuttosto malconce coscienze, le nuove disumane trovate governative dell’ultimo “Pacchetto Sicurezza” sono entrate in vigore l’8 agosto 2009. Tra le ulteriori norme restrittive è stato introdotto il reato di clandestinità e l’aumento a sei mesi del tempo massimo di reclusione degli immigrati nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE, ex CPT).
Le reazioni non si sono fatte attendere e nei CIE di Milano, Torino, Modena, Gradisca, Roma, Lamezia, Bari e Brindisi le rivolte e i tentativi di fuga si stanno ripetendo senza sosta. La solidarietà all’esterno ha avuto momenti importanti, in particolare il 21 agosto al tribunale di Milano durante la prima udienza per il processo contro i 14 rivoltosi arrestati dopo i disordini che hanno provocato seri danni al CIE di via Corelli (Milano). Anche a Modena i rivoltosi hanno reso inagibili quattro stanze, mentre a Brindisi una trentina di reclusi è riuscita a riconquistare la libertà. Il processo di Milano riprenderà il 21 settembre e una forte presenza renderà più difficile isolare chi trova il coraggio e la forza di ribellarsi.
Per discutere le forme di partecipazione e di solidarietà alle lotte contro i CIE proponiamo un’assemblea di confronto e aggiornamento sulla situazione ricordando come lo scorso maggio a Bologna la forte mobilitazione contro il pestaggio di una donna reclusa nel CIE di Via Mattei abbia reso possibile che, almeno per una volta, i soprusi non restassero occultati dietro quelle mura.
INCONTRO PUBBLICO
MERCOLEDÌ 16 SETTEMBRE ALLE ORE 18.00
PRESSO IL CIRCOLO FUORILUOGO, VIA SAN VITALE 80
Nemici dei nuovi lager
Guarda il video su:
http://www.youtube.com/watch?v=2169g-J1bUU
e diffondilo il più possibile…
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http://lombardia.indymedia.org/node/21479
Alcuni fatti di questi giorni ci lasciano supporre che ancora vi siano equivoci diffusi sul ruolo esatto che giocano dentro alla “macchina delle espulsioni” tutta quella serie di organizzazioni “umanitarie” o “assistenziali” che hanno in mano la gestione dei 13 Centri di Identificazione ed Espulsione che se ne stanno disseminati sullo stivale. Parliamo della Croce Rossa, intanto, ma anche della Misericordia, dei consorzi di cooperative Connecting People e Self, solo per fare i primi nomi che ci vengono in mente. Tutte le volte che si pone la questione sul tappeto c’è sempre qualcuno che si alza in piedi e dice: «ma perché ve la prendete con loro?», «se non ci fossero loro a curare i “trattenuti”, chi lo farebbe?». Soprattutto quando si parla di Croce Rossa, poi, sembra quasi che il suo ruolo dentro ai Centri sia di organizzare i turni in infermeria, controllare la data di scadenza dei medicinali e vegliare sul rigoroso rispetto dei “diritti umani” dentro alle gabbie. Non è così.
Gestire un Cie vuole dire averne in appalto la gestione complessiva. Vuole dire ricevere dei soldi dal Ministero e con quelli organizzarne la vita all’interno – fuorché la mera sorveglianza, affidata alle Forze Armate e alla Polizia. La Croce Rossa dentro ai Centri che gestisce è responsabile di tutto e quello che non fa direttamente con le proprie mani lo appalta ad altri mantenendone sempre la responsabilità principale. È la Croce Rossa a doversi lagnare con la Camst e la Sodexo se dentro alla minestra dei reclusi compaiono scarafaggi o se gli spinaci che vengono serviti sono scaduti, non la Prefettura. E pure della qualità delle lenzuola e della pulizia è responsabile la Croce Rossa. La Croce Rossa sceglie come spendere i soldi delle prefetture, come organizzare i servizi, opera scelte in autonomia e altre di comune accordo con i responsabili della Questura. Dentro ai Centri, insomma, la Croce Rossa è talmente indaffarata che… non ha il tempo di curare l’infermeria, che di fatto è ridotta a un distributore automatico di psicofarmaci e calmanti. Per non parlare della fine che fa la famosa “supervisione umanitaria”.
Ci spieghiamo con una immagine precisa: in due dei tre Centri gestiti attualmente dalla Croce Rossa in Italia i crocerossini hanno in mano le chiavi delle gabbie. Le aprono, le gabbie, quando serve, e quando serve le chiudono. A Ponte Galeria a Roma e in via Corelli a Milano ciò che ogni giorno e ad ogni ora separa un senza-documenti dalla libertà è un crocerossino con delle chiavi in mano. E anche se in corso Brunelleschi a Torino il mazzo di chiavi lo tengono materialmente in mano i poliziotti, il ruolo dei crocerossini nei Cie è quello dei carcerieri.
Anche se non fosse vero che i crocerossini chiudono gli occhi di fronte ai pestaggi o che vi partecipano; se non fosse vero che ridono quando i reclusi disperati si mutilano e urlano di dolore; anche se non fossero complici degli abusi sessuali contro le detenute e negligenti di fronte ai malori anche gravi dei prigiornieri; anche se tutto questo non fosse mai accaduto, anche se Hassan non fosse morto sotto i loro occhi indifferenti, e neanche Salah o Mabruka – anche se tutto questo non fosse mai accaduto, i crocerossini impiegati nei Centri rimangono comunque dei carcerieri.
L’”imparzialità”, l’”equidistanza” della Croce Rossa tra lo Stato e i reclusi è tutta sbilanciata verso la fedeltà alle leggi dello Stato che rinchiude. Essere equidistanti e imparziali, a rigor di logica, vuole dire valutare la possibilità di violare le leggi, di aprire le gabbie. È evidente che non può essere così e che questa “equidistanza”, questa “imparzialità”, non sono che vuoti artifici retorici. Qualunque affiliato alla Croce Rossa che voglia dare sostanza concreta a questi attributi deve partire dalla pretesa che l’istituzione per la quale presta servizio esca dai Centri. E lo stesso vale per gli operatori della Misericordia di Modena o Bologna, dei cooperanti della “Connecting People” a Gorizia o di quelli del consorzio Self, della cooperativa Albatros, di “Malgrado tutto”, di Sisifo, della Blucoop…
Non è un discorso nuovo il nostro. Ma è importante chiarirlo proprio adesso, e soprattutto a beneficio di chi definisce le nuove leggi sull’immigrazione “leggi razziali” e “campi di concentramento” i Cie. Non ci debbono essere più equivoci, né scuse: se i Cie sono davvero “sempre più simili a campi di concentramento”, volerli gestire è cosa infame, e va detto forte. Di fronte a un “Campo” la non-collaborazione è il minimo, e bisogna saperla pretendere, bisogna lottare per allargarla e approfondirla. E se le nuove leggi sono davvero “leggi razziali” a nulla servono petizioni e i cortei se poi il Governo applica queste leggi con il lavoro delle nostre mani.
O si sceglie la non-collaborazione, e poi l’opposizione attiva, pratica e determinata, o si finisce in un ginepraio fatto di dichiarazioni roboanti e compromessi, di bei principi e pratiche collaborazioniste, di discorsi forbiti ed equivoci interessati. Un ginepraio nel quale ogni tensione etica svanisce e con lei anche il senso stesso delle parole e del nostro essere uomini.
(Tutti gli audio del video che vi alleghiamo sono brani di telefonate effettuate negli ultimi cinque mesi con reclusi dei Cie di via Corelli, Ponte Galeria e corso Brunelleschi – tutti e tre gestiti dalla Croce Rossa. Le telefonate sono state trasmesse in diretta da Radio Blackout di Torino e da Radiocane di Milano, oppure archiviate nel sito della trasmissione //Macerie su macerie//)